di Vincenzo Scagliarini
La Mela ferma le sponsorizzazioni sui dispositivi mobili, e colpisce il cuore del business di BigGIl blocco della pubblicità dagli smartphone
Dopo la presentazione degli iPhone 6s, di Apple Tv e dei nuovi iPad, il 16 settembre la Mela rilascerà iOs 9, il nuovo sistema operativo per i suoi dispositivi mobili. Sarà un aggiornamento per chi possiede almeno un iPhone 4s, un iPad 2 o un iPod Touch di quinta generazione (lo abbiamo raccontato qui). Novità a parte, avrà una funzione che può rivelarsi un incubo per editori e colossi tech: il blocco della pubblicità online. Banner, video inserzioni e popup non verranno visualizzati. È una batosta per un mercato dal valore complessivo di 70 miliardi di dollari. Perché se meno utenti guarderanno gli annunci, i ricavi dell’industria pubblicitaria saranno inferiori. Ed è come chiudere i rubinetti all’unica fonte di guadagno per molte testate online. Inoltre è una sfida a Google, il dominatore della pubblicità su Internet: nel 2014 il 75% degli introiti provenienti della annunci mobile sponsorizzati sul motore di ricerca di Mountain View sono arrivati proprio dai dispositivi Apple.
Più nel dettaglio, il cambiamento riguarda la nuova versione di Safari, il browser ufficiale di Apple per dispositivi mobili (iPhone e iPad) che verrà incluso in iOs 9. Permetterà agli sviluppatori di integrare nel software di navigazione gli ad blocker (è il nome tecnico dei software che impediscono la visualizzazione della pubblicità). In sintesi: la Mela non bloccherà la pubblicità sul browser, ma aprirà le porte ai programmi che hanno questo scopo. Le app invece non verranno coinvolte. Significa che Big G e gli altri distributori di pubblicità potranno continuare a distribuire le loro inserzioni attraverso i programmi per smartphone e tablet. Dalla battaglia sembra già profilarsi un vincitore: il social network di Mark Zuckerberg è un'app a sé stante, immune agli ad blocker. Secondo i dati eMarketer, è il secondo attore del mercato pubblicitario mobile (ha il 18,5% delle quote, contro il 36,9% di Google). Anno dopo anno, continua a crescere, rosicchiando punti percentuali all'azienda di Mountain View. Una tendenza che potrebbe essere accelerata dalla scelta di Cupertino.
I contraccolpi per l'industria
Gli ad blocker sono già noti agli utenti desktop. Uno studio di PageFair e Adobe, riportato dal Wall Street Journal, dimostra che il 6% degli utenti Internet usa questi software per bloccare video, popup e banner. A giugno 2015 erano circa 200 milioni di utenti a usarli, un balzo del 40% rispetto all’anno scorso. Proiettando questi dati nel 2016, ciò si tradurrà, per l’industria della pubblicità online, in una perdita 12,5 miliardi di dollari.
Mentre i ricavi della pubblicità sui mezzi tradizionali (carta stampata e tv) sono in costante calo, il mercato online viaggia in senso opposto. E l’industria ha confidato soprattutto sull’espansione dei dispositivi mobili. Negli Stati Uniti quest’anno c’è stato il sorpasso: gli utenti hanno trascorso più tempo sui dispositivi mobili che sui pc tradizionali. E smartphone e tablet sono rimasti al riparo dal fenomeno degli adblocker, perché installarli è stato finora molto più complicato che sui computer fissi (dove basta usare un’estensione per il browser). La mossa di Apple perciò è una scossa.
Colpisce i fornitori di pubblicità (Google, Amazon e Taboola, per esempio) e avrà un impatto ancora maggiore sugli editori che, nonostante la crescita del mercato mobile, hanno difficoltà a monetizzare l’utenza che proviene da questi dispositivi (qui la pubblicità viene pagata fino al 70% in meno rispetto alle tariffe, già basse, di quella per personal computer). Inoltre gli utenti dei costosi gadget Apple sono i più desiderati. Costituiscono il 20% dell’utenza mondiale (la parte restante è occupata quasi solo Android), ma sono molto più disposti a spendere denaro rispetto a quelli del robottino.
L'ascesa degli ad blocker
Una cosa è certa: la crescita degli utenti che si affidano agli ad blocker è una reazione all’invasività della pubblicità online. Spesso consuma batteria, rallenta la navigazione e consuma megabyte preziosi, che possono far superare la soglia prevista dal piano dati (e comportare costi aggiuntivi). Banner, video e popup possono risultare tanto più inopportuni quanto più gli schermi sono piccoli. Uno sviluppatore di Crystal, una delle future app per il blocco della pubblicità sui dispositivi Apple, ha raccontato al Wall Street Journal che il suo software permette di caricare le pagine quattro volte più velocemente e di consumare la metà della banda.
Ogni contenuto pubblicitario inoltre traccia la nostra attività. È una pratica denunciata più volte dal Ceo di Apple, Tim Cook. L’ultima volta, a giugno di quest’anno, il successore di Steve Jobs ha attaccato apertamente Google e Facebook. Per Cook queste aziende vedono gli utenti come prodotti e non rispettano la loro privacy.
Bloccare gli altri per favorire Apple News
Quella di Cupertino però non è una mossa disinteressata. E la promozione degli ad blocker (senz’altro una forma di difesa della privacy) può esser parte di un progetto più ampio per la monetizzazione delle notizie. Perché con iOs 9, Apple introdurrà News, un’app per l’aggregazione dei contenuti prodotti dagli editori. Ha già partner importanti come il New York Times, The Atlantic, Daily Mail, Time. Qui la pubblicità non verrà bloccata, ma i ricavi verranno distribuiti tra la Mela e gli editori. È una strategia che potrebbe infastidire soprattutto Google, che si troverebbe ad avere Apple come nuovo concorrente, mentre finora ha potuto agire indisturbata sui siti che usava il suo programma pubblicitario AdSense.
Apple non è l’unica a voler sfruttare contenuti prodotti dagli editori. Anche Facebook sta portando avanti il suo progetto per integrare le notizie sulla sua piattaforma e, anche in questo caso, ci sono accordi con gli editori. E sullo stesso terreno è entrata pochi mesi fa l’app di messaggistica Snapchat. L’app made in Cupertino però potrebbe essere un azzardo. Non può contare su una comunità già definita, tanto meno sul miliardo e mezzo di utenti di Facebook. Sembra invece essere un lettore di notizie come tanti, un concorrente di Flipboard, Digg o Zite. E non è detto che riesca a imporsi su questi ultimi.
Una nuova economia
È difficile prevedere come si evolverà il mercato. Intorno agli ad blocker sta nascendo una nuova economia. A febbraio di quest'anno Google, Amazon, Microsoft e Taboola hanno pagato Eyeo, la startup tedesca produttrice di Adblock Plus, il più famoso software per il blocco della pubblicità online. La cifra è rimasta riservata, ma lo scopo non è segreto: avere un lasciapassare per i propri banner.
Adblock Plus, come molti altri software simili, funziona così: è un’estensione per i maggiori browser. Ha una lista che include i server che forniscono la pubblicità. Quando viene installato, tutti i contenuti che provengono da queste macchine vengono bloccati all’origine. Dalla versione 2.0 Adblock Plus ha introdotto gli Acceptable ads. E cioè una forma di pubblicità “accettabile”. Un’azienda può sottoporre la sua pubblicità a Eyeo, che la valuta e, se non la ritiene troppo grande o fastidiosa, darà un via libera: questi annunci allora saranno visibili anche con il blocker attivo. Acceptable ads è gratuito per gli editori più piccoli e a pagamento per tutti gli altri.
La somma è a discrezione della società tedesca. È difficile stabilire se questa pratica sia una forma tutela per gli utenti (che possono comunque scegliere di bloccare anche gli Acceptable ads) o se è una strategia di monetizzazione spregiudicata. In ogni caso è qualcosa che potrebbe esser replicato da altri. Come abbiamo accennato, gli sviluppatori sono già al lavoro agli ad bockler per iPhone e iPad e non è escluso che la formula utilizzata da Adblock Plus non diventi la regola.
La scelta radicale della Mela
Non è la prima volta che Apple opera una scelta radicale che, negli anni seguenti, verrà seguita dal mercato. Nel 2007 Cupertino decise di abbandonare Adobe Flash Player sui suoi telefoni. Le motivazioni: utilizzava troppe risorse , consumava banda e rallentava la navigazione (non sono dissimili da quelle usate oggi per introdurre il supporto per gli ad-blocker). Allora fu ritenuta una motivazione controversa, perché Flash era ancora molto diffuso. Negli anni seguenti verrà replicata anche da Android e dal 1° settembre il browser Chrome ha smesso di visualizzare la pubblicità creata con il plug-in di Adobe.
Ora però è più complicato: Come fa notare Business Insider, l’impatto della scelta di Apple potrebbe non essere uguale per tutte le testate. Potrebbe danneggiare di più i siti con un pubblico più attento alla tecnologia (i siti dedicati alle recensioni di videogame o le testate specialistiche). Nel lungo periodo potrebbe perfino implicare la fine di un modello di vendita della pubblicità online, quello utilizzato da Google, Amazon e dai grandi editori online.
Le reazioni agli ad blocker
Come il gatto con il topo così, contro gli ad blocker, sono nati servizi che li rilevano e li neutralizzano. Le aziende maggiori che operano in questo settore sono PageFair e SourcePoint, quest’ultima fondata da un ex dirigente Google, Ben Barokas. L'imprenditore riteneva che l’azienda di Mountain View stesse sottovalutando il problema e così ha deciso di mettersi in proprio.
Questi rilevatori di ad blocker possono forzare la pubblicità e farla comparire comunque, oppure presentare un messaggio agli utenti. I più frequenti sono annunci del tipo: «I banner mantengono Internet gratuita» oppure, come quello utilizzato dal Guardian: «Notiamo che hai un ad blocker attivo. Forse ti piacerebbe supportare il Guardian in un altro modo?». È un messaggio che compare in fondo alla pagina, non invadente e con un solo bottone. È stato creato per non importunare gli utenti già suscettibili ai messaggi pubblicitari. È un modo per render consapevoli le persone del fatto che, quell’immagine, è a volte l’unica fonte di guadagno per un editore. Ma il fondatore di AdBlocker Plus ribatte: «Il nostro software si è diffuso perché su Internet c’è solo cattiva pubblicità».
Il bug di Chrome che aggira i blocchi
Il 6 settembre un altro scossone. Chi ha installato un ad blocker sul browser Chrome ha visto ricomparire la pubblicità su YouTube, il popolarissimo portale video di Google. Con un fastidio in più: gli utenti non avevano più a disposizione il tasto skip. E così, prima di visualizzare il video scelto, erano costretti guardare per intero un filmato pubblicitario, che poteva durare anche due minuti.
Sembrava una contromisura ai blocker di Big G poi, a far chiarezza, sono arrivati gli sviluppatori di Chromium (è il nome della versione open source di Chrome). Hanno spiegato che i blocker su YouTube sono diventati inefficaci sulla versione 45 a causa di un bug, che verrà risolto con la release 46. La ricomparsa della pubblicità si verifica solo se su Chrome ci sono un ad-blocker e l'app di YouTube. Non una mossa intenzionale quindi, ma è comunque un segnale: nella guerra contro la pubblicità online l'azienda di Mountain View, se volesse, avrebbe già gli strumenti per contrattaccare. Anche se sarebbe una mossa impopolare.
Il browser senza pubblicità
Nei giorni scorsi un'altra evoluzione, l'attenzione verso i software che bloccano la pubblicità è in continuo aumento. Eyeo, l'azienda che dal 2006 produce AdBlock Plus, ha lanciato il suo software per navitare in Internet senza pubblicità: AdBlock Browser. È disponibile per iOs e Android, anche se - per ora - è una soluzione molto rudimentale.
Non è la prima volta i software che bloccano la pubblicità sbarcano sullo store della Grande G, ma due anni era l'app anti-pubblicità di Eyeo era stata subito rimossa. Ora invece da Mountain View sembrano essere più tolleranti (o forse sono consapevoli la crescita di questi software è ormai un dato di fatto). La startup tedesca vuole farsi notare e, per promuovere il suo nuovo prodotto, ha sfruttato il mezzo che intende combattere: AdBlock Browser appare in cima ai risultati nel Play Store perché ha pagato a Mountain View un annuncio sponsorizzato.