Corriere della sera
Entra in vigore il provvedimento approvato
dalla giunta di Roberto Maroni. Divieto di ingresso «a volto coperto in
ospedali ed edifici pubblici regionali»
Divieto di ingresso «a volto coperto in ospedali ed edifici pubblici regionali», anche con burqa e veli che coprano il viso.
Dal primo gennaio entra in vigore il provvedimento approvato dalla
giunta di Roberto Maroni che dà attuazione alla normativa nazionale per
la pubblica sicurezza. L’iniziativa era stata annunciata dal governatore all’indomani degli attentati di Parigi.
Nel testo approvato, come riferito dallo stesso Maroni durante la
conferenza stampa dopo la riunione di giunta, non vengono esplicitamente
citati il burqa o altri tipi di velo, ma si fa riferimento al Testo
Unico di Pubblica sicurezza che prevede il divieto di ingresso a «volto
coperto». La vetrofania del provvedimento, invece, si riferisce
esplicitamente al velo integrale, oltre a casco e passamontagna.
giovedì 31 dicembre 2015
Vietati burqa e niqab, spunta il logo negli ospedali e negli uffici pubblici
Arriva la Carta d'identità elettronica con le impronte
Corriere della sera
Attesa da 20 anni. C'è l'opzione sulla
donazione degli organi. Il supporto fisico dovrà essere realizzato con
le tecniche della produzione di carte valori, integrato con un
microprocessore per la memorizzazione delle informazioni utili alla
verifica identità
Avrà le
impronte digitali e anche la possibilità di indicare la scelta sulla
donazione degli organi. Arriva la nuova Carta d'identità elettronica,
progetto atteso da quasi venti anni. Il ministero dell'Interno ha
pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto, di concerto con i ministeri
di Pubblica Amministrazione ed Economia, con le regole di emissione
della norme previste dal Dl Enti Locali. Il supporto fisico dovrà essere
realizzato con le tecniche tipiche della produzione di carte valori,
integrato con un microprocessore per la memorizzazione delle
informazioni necessarie per la verifica dell'identità del titolare,
inclusi gli elementi biometrici, nonché per l'autenticazione in rete. Il
decreto è stato sottoscritto, il 23 dicembre 2015.
Le novità: dal Pin al microchip
Chi può fare istanza?
Ideata nel 1997, ha registrato varie sperimentazioni
Tutti i giganti del web che dribblano l'erario
Camilla Conti
- Gio, 31/12/2015 - 16:08
Accordo confermato dalla Procura di Milano, che coordina l'inchiesta a carico di tre manager di Apple accusati di omessa dichiarazione dei redditi: il legale rappresentante e amministratore delegato di Apple Italia, Enzo Biagini, il direttore finanziario Mauro Cardaio e il manager della irlandese Apple Sales International, Michael Thomas O'Sullivan. Risolto il contenzioso tributario, resta però in piedi il procedimento penale.
Il caso della Apple non è, inoltre, isolato. Sulle attività di Amazon sarebbero in corso accertamenti della Guardia di finanza ed è stato aperto un fascicolo d'inchiesta (al momento a carico di ignoti e senza ipotesi di reato) dopo una segnalazione preliminare da parte dell'Agenzia delle Entrate. Il primo maggio il colosso dell'e-commerce ha comunque aperto la Partita Iva italiana mentre prima le vendite erano gestite dalla casa madre in Lussemburgo. «La nostra non è stata una risposta alle pressioni fiscale dell'Unione Europea ma un cambiamento di business iniziato due anni fa a livello globale», aveva sottolineato a settembre in un'intervista al Giornale, l'ad di Amazon per l'Italia, Francois Nuyts.
È in fase di definizione, inoltre, un accordo tra Google Italia e il fisco per chiudere il contenzioso su una presunta evasione fiscale da parte delle multinazionale californiana. Anche qui le indagini su eventuali responsabilità penali sono, al momento, a carico di ignoti. Il gruppo di Mountain View aveva già siglato un «armistizio» da 320 milioni con l'Erario su un imponibile di 800 milioni in cinque anni. Nella lista delle società soggette ad accertamenti spunta poi la statunitense Western Digital, tra le aziende leader nella tecnologia per hard disk.Lo schema è sempre il solito: i profitti realizzati in Italia dalla multinazionale, sarebbero contabilizzati da società con sede in Irlanda o in altri Paesi dove la pressione fiscale è più favorevole.
Nel 2014 Facebook ha versato all'Agenzia delle Entrate 305mila euro, Apple 4,2 milioni, Twitter 40mila euro, Amazon 1,8 milioni e Google 2,1 milioni anche se poi nel nostro Paese fattura circa due miliardi. Quanto a eBay, l'anno scorso non risultano incassi per il nostro fisco anche se la società di aste online qui da noi ha registrato 0,1 milioni di ricavi. I big di Internet si difendono sostenendo che è tutto regolare: le filiali italiane forniscono solo servizi di marketing alle società registrate a Dublino o a Lussemburgo. Di certo, fin dai primi passi della loro rapida espansione, i colossi del web hanno studiato le regole tributarie europee e si sono dati la struttura fiscale «più efficiente possibile», come ripetono i loro manager di fronte alle crescenti accuse di eludere le tasse.
In pratica, hanno ridotto al minimo il prelievo che il fisco può far loro in Paesi dove hanno milioni di clienti e dove i rispettivi business si sono diffusi a macchia d'olio, come Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia. Le loro attività ufficiali, al contrario, le hanno concentrate nelle legislazioni fiscalmente più convenienti. Non a caso l'accordo raggiunto tra l'Agenzia delle Entrate e Apple Italia, prevede anche una procedura di «ruling internazionale» per determinare la percentuale delle imposte da pagare in Italia e in Irlanda. La procedura dovrebbe essere valida per i prossimi cinque anni e ha l'obiettivo di «armonizzare la posizione di società che operano in più Stati».
I fake del web nel 2015: le bufale diventate virali
Giulia Muti
- Mer, 30/12/2015 - 16:55
I fratellini nepalesi:
Il regalo di Zuckerberg:
Circolava la notizia che il fondatore di Facebook avrebbe donato il 10% delle proprie azioni del famoso social network a 1000 utenti "fortunati". Il tutto corredato da post fake che invitava a condividerla taggando gli amici per sperare di vincere 4,5 milioni di dollari a testa - dopo che la coppia Mark-Priscilla ha annunciato che avrebbe donato il 99% del proprio capitale azionistico per rendere il mondo migliore, dopo la nascita della prima figlia Max.
Il rifugiato combattente dell'Isis:
«Ricordate questo ragazzo? Lo scorso anno era in posa per l’Isis, ora è un rifugiato». La presunta notizia corredata di foto ingannevole e scherzosa (di cui il protagonista si è scusato) ha chiaramente alimentato la paure che i rifugiati possano essere uno strumento per infiltrare terroristi in Europa. In realtà l’uomo ritratto nella foto non è un combattente dell’Isis, ma è un ex comandante dell’Esercito libero siriano, un gruppo di ribelli moderati che si oppone al presidente Assad.
Gli elettori repubblicani stupidi:
Donald Trump avrebbe detto in un'intervista a People del '98 che i repubblicani sono gli elettori "più stupidi" (dumbest): falso. Non che manchi occasioni di fare gaffe, ma nell'intervista in questione la citazione non c'è, nemmeno detta con altre parole
Arance infette con l'Hiv:
Una balena tra i canali di Venezia:
Non ha bisogno di spiegazioni, eppure la popolare balena fotografata tra i canali (chiaramente risultato di un fotomontaggio) circolando insistentemente sui social ha finito per ingannare, magari solo momentaneamente, i più creduloni. Si tratta di una foto ritoccata dal fotografo Robert Jahns.
Gli 11 gemelli partoriti da una donna indiana:
Non è vero che una donna indiana ha partorito 11 gemelli. Anche se fosse successo, non è comunque quella nella foto allegata alla storia dove parte dello staff medico di un ospedale indiano festeggia nel 2011 la nascita di 11 bambine in un giorno (ma di madri diverse!).
Il finto skate dei Beatles:
Oltre alle notizie di cronaca, sono diventate virali anche alcune storie di costume e politica. Un esempio? John Lennon si sbizzarrisce per le strade londinesi con il suo skate. Ma non è assolutamente vero. Si tratta di un’immagine che fa parte di una sorta di raccolta di fotomontaggi che ritraggono varie celebrities “a bordo” di uno skate. E’ stato realizzato con immagini tratta dal film girato dai Fab Four “A Hard Day’s Night”.
Marte che si avvicina alla terra:
Il pianeta Marte avrebbe dovuto, lo scorso 27 agosto, avvicinarsi alla Terra come mai prima. Questo testa a testa è effettivamente avvenuto, ma nel 2003 quando il pianeta rosso arrivò a 56 milioni di chilometri da noi. E non è un evento così speciale, capita ogni 15 o 17 anni.
Michael Kors razzista:
Lo stilista Michael Kors era finito al centro delle polemiche per una frase razzista: avrebbe detto di essersi stancato di fingere che gli piacciano le persone di colore. Ma a diffondere la notizia - che è volata sul web tra onde di indignazione - era stato il sito satirico NahaDaily.
Il giovanissimo Putin e Reagan:
Questa è un’immagine divenuta virale e dietro a un ragazzino che stringe la mano all’allora presidente Ronald Reagan, in visita in Russia, ci sarebbe un giovanissimo Putin. In realtà lo scatto è una dimostrazione potentissima della forza del pensiero di massa, per cui se tutti iniziano a dire “come assomiglia quello a Putin” nessuno osa contraddire questa verità. Ma la verità è che l’uomo della foto non è Putin e non gli assomiglia nemmeno tanto.
Starbucks che "odia" Gesù:
Il fatto che Starbucks abbia deciso di stampare per Natale 2015 delle semplici tazze di carta rossa, senza disegnini natalizi, ha fatto infuriare il candidato repubblicano Donald Trump che ha accusato la catena di caffè di "odiare Gesù". I giornali l'hanno battezzata "The war of Christmas cups", ma era solo una scelta di packaging...
Il massacro "non avvenuto" alla Sandy Hook:
Neanche le tragedie vengono risparmiate dalla tentazione di raccontare frottole. E così, anche la strage nella scuola "Sandy Hook", dove un 20enne aveva ucciso 27 persone, era stata messa in dubbio e ritenuto falso.
Il dito medio di Diana:
L'immagine della principessa mentre mostra il dito medio era facilmente smacherabile, in quanto non si addice ad una donna fine ed elegante quale era Diana. Eppure in molti ci sono cascati, credendo veramente che Lady D. si fosse scomposta per un momento. La foto in realtà era stata ritoccata dalla fotografa Alison Jackson.
I 15 giorni di buio a novembre:
Secondo la Nasa, nel 2015 la Terra sarebbe stata inghiottita e, come conseguenza, a novembre ci sarebbero stati 15 giorni di buio. Un fenomeno che "non succedeva da un milione di anni". Peccato che la Nasa non ne sapesse nulla dell'evento apocalittico...
Pena di morte, per il sistema informatico del Ministero esiste ancora
Eppure in documenti ufficiali del Ministero della Giustizia, ancora oggi nel 2015, ci tocca leggere frasi come quella che trovate nella foto 'Pena di morte, sostituita con l’ergastolo'". A scriverlo su Facebook è l'ex deputata radicale Rita Bernandini che racconta di averla scoperta nel carcere di Opera in occasione del sesto Congresso di Nessuno Tocchi Caino.
"Se consideriamo che tale certificazione è stata rilasciata dall'Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato che 'ha il compito di applicare le tecnologie informatiche ai servizi istituzionali di custodia e rieducazione dei detenuti, di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali dell’amministrazione' e che uno immagina debba essere aggiornatissimo sulla normativa in vigore, abbiamo un ulteriore prova della sciatteria con la quale viene amministrata la giustizia in Italia", conclude l'ex deputata nel suo post.
Per riprenderci i Marò basterebbero 5 minuti!”
Davide Brullo
Voce
mefistofelica e una passione inossidabile, angelica, per la politica.
Un virus familiare, la politica. Il padre, Antonino La Russa, avvocato
come lui, è stato senatore del Movimento Sociale Italiano, “orgogliosamente fascista. Eppure, non aveva timore di criticare ciò che del fascismo non gli piaceva”. Ignazio La Russa, che nel MSI ha creduto e militato fino ad essere eletto per la prima volta deputato nel 1992 – “ricordo
che poco prima di essere votato ero andato a teatro a vedere Beppe
Grillo. Lo spettacolo mi piacque molto. Grillo non è mica cambiato: solo
che allora pagavi per vederlo, adesso basta andare ai suoi comizi”
– che dalla guida del Fronte della Gioventù è passato al Ministero
della Difesa del Governo Berlusconi, è l’anima della destra italiana.
Ignazio La Russa si racconta ad Edoardo Sylos Labini.
I siciliani sono un’isola. “Lo
diceva Pirandello: i siciliani sono un’isola nell’isola. I siciliani si
integrano ovunque, ma restano isole. Sono nato a Paternò, alle pendici
dell’Etna, abito a Milano da cinquant’anni, so anche parlare il
milanese. Ma con accento rigorosamente siciliano”.
Dalla Sicilia alla Svizzera, sola andata. “Mio
padre, con qualche idea di grandezza, mi spedì a studiare a San Gallo,
in un collegio svizzero internazionale. Avevo 13 anni. Non è stato
facile adattarsi, eppure lì ho imparato il rispetto per le idee degli
altri. Pur restando fedele alle proprie. Poi mi sono laureato in
Giurisprudenza, a Pavia”.
Il primo comizio. A 10 anni. “Mio
padre doveva tenere un comizio a Ragalna, un piccolo comune sull’Etna.
Fu trattenuto da un impegno e spedì un suo amico. Il quale ebbe la
brillante idea di battere a macchina un discorso e di farmelo leggere,
‘non c’è Antonino La Russa, ma c’è pur sempre un La Russa’, disse.
Buttai il foglio. Improvvisai, imitando mio padre. Ovviamente, ricevetti
uno scroscio di applausi. Ma perdemmo le elezioni per 12 voti”.
Almirante vs. Berlinguer. “Giorgio
Almirante era un oratore straordinario. Non ‘tromboneggiava’,
colloquiava. Riusciva a conquistare. Poi, certo, se quelli che lo
ammiravano lo avessero votato… valeva la legge ‘piazze piene, urne
vuote’. Berlinguer, al contrario, era un modestissimo oratore, ma sapeva
andare al cuore del suo elettorato.
Il primo amore per un ragazza ebrea e l’esame di coscienza della destra italiana. Proprio
giovanissimo al colleggio in Svizzera ci fu la prima cotta per una
giovane ragazza ebrea. “Le leggi razziali promulgate da Mussolini furono
un’assurdità pazzesca, non ho problemi a riconoscerlo. Occorre
ricordare che nel 1995 Alleanza Nazionale nasce sulla base di un
profondo esame di coscienza, testimoniato dalle ‘Tesi di Fiuggi’. In
esse un capitolo intero è dedicato al ripensamento critico del fascismo.
Un ripensamento che a sinistra non è mai stato fatto. Quale politico di
sinistra ha il coraggio di dire apertamente che il comunismo è stato
una dittatura becera, terribile?”.
Il “caso Ramelli”. “Da
avvocato, non ho mai voluto difendere chi avesse imputazioni di mafia o
riguardanti reati a sfondo sessuale. Non ho mai voluto difendere gli
imprenditori durante Mani Pulite. Sono fiero, però, di aver preso le
parti di Sergio Ramelli, il diciassettenne del Fronte della Gioventù che
è stato barbaramente ucciso nel 1975 di fronte a casa a colpi di chiave
inglese da alcuni estremisti di sinistra, appartenenti ad Avanguardia
Operaia. Ucciso perché di destra, perchè a scuola fece un tema contro le
Brigate Rosse e per questo accusato di essere fascista. Ci vollero
dieci anni per risolvere una inchiesta continuamente ostacolata”.
Milano come Belfast, nel mezzo della guerra civile. “Non
era facile essere di destra, tra le file del Fronte della Gioventù,
nella Milano degli anni Settanta. Eravamo consapevoli di vivere in una
Belfast, in piena guerra civile. La sproporzione con i movimenti della
sinistra extraparlamentare era pazzesca, ma non ci sentivamo eroi. E non
eravamo, nonostante la fama, aggressivi. Entravamo e uscivamo dai
cinema a film iniziato, andavamo allo stadio con la sciarpa che ci
copriva il volto, ci sedevamo nei ristoranti con la schiena appoggiata
alle pareti. Ci aggredivano in venti contro uno. Una volta mia moglie mi
salvò letteralmente la vita frapponendosi tra me e una chiave inglese,
che le ferì la spalla. La colpa di quel momento è tutta delle
istituzioni: la lotta tra generazioni fu l’alibi per realizzare il
‘compromesso storico’ tra DC e PCI”.
Che cos’è la destra, cos’è la sinistra? “La
spiritualità della vita è di destra, il materialismo di sinistra; la
meritocrazia è di destra, il 6 politico di sinistra; la famiglia come
cellula dello Stato capace di generare cittadini è di destra, la
famiglia in cui conta soltanto l’affetto è di sinistra”.
Razzismo gay. “Ribadisco
per l’ennesima volta: alle coppie gay devono essere garantiti tutti i
naturali diritti civili. Il matrimonio è un’altra cosa, cosa c’entra? E’
come se chiedessi a un gallo di fare anche le uova come le galline. Il
fatto però, in questo Paese pazzesco, è che se dico che sono per i
diritti civili alle coppie gay ma sono contrario all’affidamento di
bambini a una coppia gay mi danno dell’omofobo, dell’arretrato, del
reietto. Non è forse questa una forma di razzismo al contrario? Io
pretendo di poter esprimere liberamente, in un Paese democratico, la mia
opinione. Ma si sa com’è l’Italia: se Berlusconi al posto di andare con
le donne fosse gay, governerebbe per altri vent’anni!”.
A proposito di Berlusconi… “Berlusconi
è stato un genio della politica. Capì che solo mettendo insieme Umberto
Bossi e Gianfranco Fini si poteva battere la sinistra. Creò un collante
politico che adesso manca al centrodestra”.
Dica qualcosa di destra. “Fin
da piccolo mi appassionava la storia dei fratelli Bandiera. Ecco,
quando in certe circostanze il valore della Patria è più importante di
se stessi, della famiglia, dell’amore per la democrazia, ecco, questo è
qualcosa di destra”.
Capotribù. “Mia
moglie aveva una passione per gli Indiani d’America, così ai miei
figli, come secondo nome, ho attribuito dei nomi indiani: Geronimo,
Cochis, Apache. Per fortuna non ho avuto una figlia, come l’avrei
chiamata, Raggio di Luna?”.
Fiorello e i Simpson. “Mi
hanno imitato in tanti, il più bravo è senza dubbio Fiorello. Il male
dei politici italiani è che aspirano di piacere a tutti; a me basta
piacere alla mia tribù. L’esperienza di doppiaggio dei Simpson è stata
una delle cose più divertenti che abbia mai fatto. Divenni amico di un
grandissimo direttore del doppiaggio, che faceva la voce di Homer
Simpson e che era un nostro simpatizzante. Quando morì, di un brutto
male, andai al funerale. I doppiatori e gli attori lì raccolti mi
guardavano stupiti, ‘ma che ci fa La Russa in mezzo a tutta questa gente
di sinistra?’”.
Un po’ di politica. Marò e il “caso Battisti”. “Penso
che ormai non esista più il sentimento di orgoglio nazionale. Siamo un
Paese che ha restituito i Marò dopo che ce li hanno concessi, perché
l’allora premier Monti non poteva rovinare certi rapporti economici con
l’India. Basterebbero i nostri corpi speciali, rispettati in tutto il
mondo, per riprenderceli in 5 minuti. Ricordo che quando ero alla Difesa
rifiutai di firmare accordi con il Brasile, pretendendo la restituzione
di Cesare Battisti, un assassino condannato all’ergastolo dalla
giustizia italiana che continua a sbeffeggiare il Paese dalle spiagge
brasiliane”.
Isis: una soluzione. “Non
abbiamo ancora capito che dobbiamo difenderci contro chi vuole
scardinare la nostra visione del mondo. In questo senso, un accordo con
Putin è necessario, altro che fargli la guerra…”.
Un accordo contro gli sbarchi. “L’emergenza
degli sbarchi in Italia si può risolvere. Con Berlusconi siglammo un
accordo con Gheddafi per interrompere il traffico di uomini all’origine.
Ora non si può? Occupiamo militarmente i porti libici”.
Rosario Crocetta e Ignazio Marino… “Crocetta
doveva andarsene da un pezzo. Inoltre, con tutto quello che è successo a
Roma, da tempo bisognava dare la parola ai cittadini. Ma il fatto è
che, Crocetta, Marino, De Luca, Pisapia, se sei di sinistra resisti
sempre. Immaginate se fossi io al posto di Crocetta… Mi caccerebbero a
pedate”.
La cultura è sempre di sinistra. “Il
PCI, secondo i patti postbellici, non poteva governare l’Italia. Così,
occupò, attraverso una azione davvero rivoluzionaria, le scuole, i
tribunali, la cultura. Un esempio. Il ballerino degli 883 era un
militante del Fronte della Gioventù. Per questo, quando fondammo AN,
chiesi a Max Pezzali di darci una mano nel comporre l’inno del partito,
cosa che lui fece. Ma quando qualche giornalista lo scoprì, negò con una
pervicacia che mi fece arrabbiare. Poi capii: se ammetteva di aver dato
una mano a comporre l’inno di AN, non avrebbe più lavorato nello
spettacolo”.
Pazzie d’amore. “Una pazzia per amore? Devo ancora farla”.
mercoledì 30 dicembre 2015
Battaglia legale tra eredi centenari Così la Hoepli finisce a un custode
Corriere della sera
di Michelangelo Borrillo
Il tribunale di Milano ha deciso il sequestro giudiziario del pacchetto di controllo. Da 5 anni Bianca Maria e Ulrico Carlo litigano su un documento che risale al 1954
La battaglia
legale che si combatte da circa cinque anni tra due rami della famiglia
Hoepli sfocia nel sequestro giudiziario del pacchetto di controllo della
storica casa editrice. Nei giorni scorsi il tribunale di Milano ha
disposto il sequestro del 60% delle azioni che fanno capo al ramo di
Ulrico Carlo Hoepli affidandole a un custode terzo, il professor Matteo
Rescigno, ordinario di diritto commerciale della facoltà di
Giurisprudenza di Milano. Si tratta di un procedimento cautelare
collegato a due cause promosse all’estero: una al tribunale del Canton
di Zugo, in Svizzera, l’altra a quello di Vaduz, in Liechtenstein.
La guerra tra zia (100 anni) e nipote (80 anni)
Una storia di 145 anni
Ecco perché il Califfato ha paura di colpire Israele
Todenhofer spiega che l'Isis, come del resto hanno già scritto molti analisti, vuole trascinare allo scontro sul suo territorio americani, inglesi, francesi, e pensa di batterli, ma sa che gli israeliani conoscono ogni segreto e hanno profonda esperienza del terreno, possiedono tecniche molto avanzate, aerei capaci di colpire, determinazione e capacità. «Daesh non ha paura degli inglesi o degli americani, ma teme gli israeliani: mi hanno detto che l'esercito israeliano è il vero pericolo, perché sa combattere una guerra di guerriglia». Il 26 dicembre, dopo che l'Isis si era astenuta dalla questione israelo-palestinese, persino ignorando la Moschea di Al Aqsa, il califfo Abu Bakr al Baghdadi ha lanciato il suo grido di guerra: «Dio ha riunito gli ebrei di tutto il mondo in Israele, questo ci facilita.
Ogni musulmano ha l'obbligo del Jihad. Ebrei, non godrete la Palestina... essa sarà il vostro cimitero». È probabile che questo richiamo sia legato alle critiche per aver ignorato i palestinesi mentre sono impegnati nell'attacco terroristico ai cittadini israeliani ormai in corso da 100 giorni. Inoltre, la bandiera antisemita è quella che rende meglio nel creare simpatia. Al Baghdadi conta sul fatto che in Sinai i gruppi come Ansar Bait al Maqdis hanno giurato fedeltà, i suoi accoliti crescono nonostante la reazione egiziana: la sua forza è stata provata dall'attacco all'aereo russo del 13 ottobre.
A Gaza, ormai sono anni che una fazione salafita gareggia con Hamas. Al nord in Israele, nel distretto di Nazareth, è da poco stata scoperta una cellula operativa nel facilitare passaggi con la Siria e nel preparare attentati dentro lo Stato ebraico. Il Golan è sede di fazioni armate. Abbastanza per preoccupare il governo di Gerusalemme? Israele non si sbilancia. L'ex generale dell'aviazione Amos Yadlin dice che l'Isis non rappresenta un pericolo militare, mentre gli hezbollah con i loro missili e l'appoggio dell'Iran sono un rischio immediato.
Apple, accordo con l’Agenzia delle entrate: al fisco 318 milioni di euro
Corriere della sera
L’azienda di Cupertino era stata accusata
di aver venduto in Italia attraverso una società di consulenza, la Apple
Italia srl, una società di facciata, e aver fatturato in Irlanda, con
la Apple sales international, per usufruire degli sconti fiscali
Apple
restituirà 318 milioni di euro al fisco italiano: si chiude con un
accordo l’indagine aperta dall’Agenzia delle entrate, coordinata dal
procuratore di Milano Francesco Greco, che ha accertato il gap enorme
tra le vendite reali in Italia (oltre il miliardo di euro nei sette anni
tra il 2008 e il 2013) della casa di Cupertino e i suoi apparenti
ricavi, circa 30 milioni di euro. L’accordo, rivelato da Repubblica,
arriva dopo una contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate alla
Apple di 880 milioni di euro per Ires evasa negli anni tra il 2008 e il
2013.
Il doppio binario
Cook: «Paghiamo più tasse di chiunque altro»
I parlamentari siciliani lavorano solo 17 minuti al giorno
Francesco Curridori
- Mar, 29/12/2015 - 18:57
Nella prime due settimane di dicembre l'Ars ha lavorato rispettivamenti 29 e poi 26 minuti. Il 2 dicembre i parlamentari siciliani si sono ritrovati alle 16,07 e hanno lasciato l'aula alle 16,36 e poi vi sono ritornati il 10 per starvi solo dalle 17,03 alle 17,29. In quei minuti c'è stato l'annuncio di mozioni e interpellanze, la comunicazione all'aula del nuovo ufficio di presidenza del gruppo del Pd, l'ufficializzazione della sostituzione di un componente della commissione antimafia. Circa un minuto è stato dedicato al ricordo dell'uccisione di due braccianti agricoli avvenuta nel 1968. La seduta del 15 dicembre, invece, è durata la bellezza di 211 minuti durante i quali si è votata una mozione di sfiducia a Crocetta che ovviamente non è passata, mentre lo10 novembre l’Ars ha discusso per 226 minuti sulla nuova giunta.
Di leggi ne sono arrivate solo tre: una che rinviava le elezioni nei liberi consorzi, una che riguarda l'Irap per i gruppi parlamentari e infine una riguardante "la tutela delle aree caratterizzate da vulnerabilità e valenze ambientali e paesaggistiche". La giunta regionale, dal canto suo, non ha agevolato il compito del Parlamento dato che la finanziaria e il bilancio regionale anziché approdare a Palazzo dei Normanni entro il primo ottobre è arrivata solo alla vigilia di Natale per via della lunga trattativa col governo nazionale per avere 1,4 miliardi necessari a coprire il buco. Mercoledì è arrivata la beffa con la bocciatura del Dpef. A tutto questo va aggiunto che l’Assemblea regionale, finanziata in gran parte dalla Regione, è costata ai siciliani circa 160 milioni l’anno, 26 milioni e mezzo per due mesi.
Ogni minuto di attività d’aula, da fine ottobre a oggi, ha “bruciato” 26.600 euro.
Mafia a Roma, nessuno vuole tradurre i dialoghi tra i rom e il processo si ferma
Francesco Curridori
- Mar, 29/12/2015 - 19:40
Il problema è venuto alla luce mesi fa quando, durante il processo per estorsione con l'aggravante del metodo mafioso contro Carmine Spada, capoclan della famiglia rom di Ostia, cugino dei più noti Casamonica, il pm Mario Palazzi lo ha esposto alla corte. Gli interpreti si sono rifiutati di presentarsi in Aula quando è arrivato il momento di confermare quanto loro avevano tradotto. Preferiscono essere denunciati per favoreggiamento piuttosto che essere presi di mira e subire così ritorsioni dal clan mafioso.
"È un problema enorme, che esiste e va assolutamente affrontato - sostiene Rodolfo Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati - non riguarda solo Roma, in tutta Italia non si trovano persone disposte a collaborare con la giustizia quando si tratta di dialetto sinti. Il problema del rischio si pone per gli interpreti quando si tratta di lingue o dialetti particolari, parlati da comunità piuttosto ristrette. Gli interpreti sinti vanno tutelati con un intervento sulla normativa specifico che garantisca un regime speciale".
Il silenzio degli interpreti rischia di bloccare decine di inchieste contro la criminalità organizzata romana di etnia rom che controllano almeno due quartieri chiave della Capitale. Del problema si è interessato anche il senatore Stefano Esposito, commissario straordinario del Pd di Ostia:
"Ho già parlato col ministro Andrea Orlando e con la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e voglio prendere un impegno serio nei confronti dei magistrati romani che stanno facendo passi da giganti in una città come Roma dove l'esistenza della mafia è stata per anni negata. È sconcertante che i clan rom la facciano da padroni e continuino a terrorizzare e intimidire chi contribuisce alla legalità, gli interpreti sinti nella fattispecie. Mi batterò perché vengano date risposte serie e concrete. È ora che lo Stato tiri fuori le unghie e dimostri che è più forte di loro".
martedì 29 dicembre 2015
C’è un sito che permette di navigare nell’internet del passato, con la velocità del passato
La Stampa
dario marchetti
Basta un clic su oldweb.today per tornare alla velocità di 56k ed esplorare internet come agli inizi degli anni duemila
L’unica cosa che manca davvero sono gli indimenticabili rumori dei vecchi modem. Per il resto, il sito oldweb.today
riesce a ricreare perfettamente la navigazione su internet di
fine anni ‘90, quando la velocità standard era di appena 56kb per
secondo (contro i 6mb/s di oggi) e caricare una pagina poteva richiedere
anche interi minuti.
Oltre al sito da visitare, Oldweb permette anche di selezionare l’anno e il mese a cui tornare nel tempo e il browser da utilizzare, scegliendo tra vecchie versioni di Internet Explorer e Netscape Navigator. Ma il bello è che il sito riesce a emulare fedelmente l’esperienza dell’epoca, limitando la nostra connessione per renderla simile a quella dei primi anni duemila: saltare da un sito all’altro si trasforma così in un’attesa snervante, soprattutto per i più giovani, abituati a una rete internet che ormai permette (quasi sempre) di fruire musica e video in streaming col tocco di un dito, ovunque ci si trovi.
Eppure, nonostante la lentezza dell’infrastruttura, i colossi della Rete, da Amazon a Google, passando per Yahoo, erano già tutti lì: come a dire che quando un’idea è buona, l’innovazione non conosce limiti.
Oltre al sito da visitare, Oldweb permette anche di selezionare l’anno e il mese a cui tornare nel tempo e il browser da utilizzare, scegliendo tra vecchie versioni di Internet Explorer e Netscape Navigator. Ma il bello è che il sito riesce a emulare fedelmente l’esperienza dell’epoca, limitando la nostra connessione per renderla simile a quella dei primi anni duemila: saltare da un sito all’altro si trasforma così in un’attesa snervante, soprattutto per i più giovani, abituati a una rete internet che ormai permette (quasi sempre) di fruire musica e video in streaming col tocco di un dito, ovunque ci si trovi.
Eppure, nonostante la lentezza dell’infrastruttura, i colossi della Rete, da Amazon a Google, passando per Yahoo, erano già tutti lì: come a dire che quando un’idea è buona, l’innovazione non conosce limiti.
Gli rubarono Strangers in the Night, ha fatto fortuna con i sigari
La straordinaria vicenda di Avo Uvezian, il vero autore della hit di Frank Sinatra, che grazie al tabacco ha recuperato i soldi perduti
Avo Uvezian, di origini armene, è nato a Beirut nel 1926. Pianista jazz, nel 1947 si era trasferito a New York, quindi nella Repubblica Dominicana. Oggi vive in Florida
Certe volte la vita ricompensa i torti subiti, e insegna a rimettere i debiti degli altri, così come lei ripaga i tuoi. Prendete ad esempio la storia di Avo Uvezian, dei suoi sigari, e di una delle canzoni più famose di sempre.
Avo, che il New York Times ha scovato a Orlando per raccontare la sua singolare vicenda, è nato nel 1926 a Beirut da genitori di origini armene. Il Libano era già allora un porto di mare frequentato da rifugiati, commercianti, avventurieri di ogni genere, e Uvezian era cresciuto imparando le lingue e la musica. Suonava il piano e aveva creato un gruppo jazz, con cui si esibiva in tutto il Medio Oriente, dalle coste del Mediterraneo fino all’Iran, dove era diventato uno degli intrattenitori personali dello Scià.
Dopo la guerra, nel 1947, si era trasferito a New York e aveva cominciato a frequentare la prestigiosa Juilliard School of Music. Voleva affinare le sue capacità e diventare compositore. Verso la metà degli anni 60 si era costruito ormai un repertorio di tutto rispetto, e un amico che conosceva Frank Sinatra lo aveva presentato a The Voice, per fargli sentire uno dei suoi pezzi migliori intitolato Broken Guitar.
«Sinatra – ha raccontato Avo al N.Y. Times – lo aveva ascoltato e aveva detto: la melodia mi piace, ma devi cambiare le parole». Il compito di riscrivere i versi era stato affidato ai professionisti della casa discografica, che avevano aggiustato anche il titolo. Il brano così era diventato Strangers in the Night, registrato nel 1966 e diventato in breve il numero 1 di tutte le classifiche di vendita.
Il problema è che poco prima di farlo sentire a Sinatra, Uvezian aveva consegnato il suo pezzo anche a un amico tedesco, Bert Kaempfert, per pubblicarlo in Germania. Secondo Avo, e la sua versione è considerata molto plausibile dagli esperti del settore, Bert gli aveva rubato la paternità del brano, incassando anche tutti i relativi diritti ed elogi.
Deluso, Uvezian si era trasferito a Porto Rico, per suonare il piano nei resort. Laggiù aveva iniziato a conoscere i sigari, diventando un appassionato, soprattutto quando aveva scoperto quanto arrivavano a costare. Allora era andato nella Repubblica Dominicana, e assieme al maestro del tabacco Hendrik Kelner aveva creato la sua linea di prodotti.
Uno dei suoi sigari, l’Avo Classic, era arrivato all’attenzione del grande distributore di Ginevra Davidoff, che aveva cominciato a venderlo con grande successo, aggiungendo in seguito altre creazioni molto ricercate dai conoscitori, come l’Avo Xo. In breve Uvezian si era dimenticato il furto subìto nel mondo della musica con Strangers in the Night, recuperando i soldi che aveva perso grazie al tabacco. I distributori, infatti, dicono di aver venduto milioni dei suoi sigari.
Il 23 novembre scorso, alle 4,20 del pomeriggio, un uomo sui trent’anni è entrato nel negozio della Davidoff sulla Avenue of the Americas di New York, e ha rubato quattro scatole di Avo Xo da 261 dollari l’una. Un furtarello da poveraccio, che in una città come New York sarebbe passato del tutto inosservato, se non fosse che il creatore di quel sigaro era anche il musicista a cui mezzo secolo fa avevano rubato Strangers in the Night.
Uvezian quindi è stato subito informato dell’evento criminale, anche per sapere come intendeva reagire: fare denuncia? Cercare di identificare il ladro, per fargli giustamente pagare il suo reato? Avo, temprato nella saggezza dalle disavventure, ha preferito scrollare le spalle e dare a tutti una lezione di spirito: «Pazienza. Sono cose che capitano, nella vita».
Il dna del proprio amato da portare sempre con sé. Incastonato in un anello
repubblica.it
di ANNA LISA BONFRANCESCH
Un progetto su Kickstarter cerca fondi per mettere in cantiere la
produzione di gioielli unici e ultra-personalizzati, contenenti il
patrimonio genetico della persona cara, inglobato all'interno di
particelle di vetro
PER QUEST'ANNO non avete fatto in tempo ma
magari l'idea potrebbe essere buona per il prossimo Natale o per qualche
occasione speciale: regalare "gemme" di dna,
o meglio gioielli con dna incastonato. L'idea è quella di un progetto
che ha cercato fondi su Kickstarter (e la quota soglia dei 20mila
franchi svizzeri, circa 18.500 euro, è stata raggiunta entro la data di
scadenza della campagna) che ha pensato di unire l'unicità del dna alla
preziosità dei diamanti per creare gioielli ultra-personalizzati.
Contenenti dna per l'appunto. Il progetto in questione si chiama
Identity Inside e nasce dalla mente di un ingegnere chimico svizzero,
Robert Grass, in cerca di un metodo per stabilizzare campioni di dna e
di idee regalo originali per la moglie.
Nel caso tutto andasse per il verso giusto
con la campagna di raccolta fondi, per avere il vostro gioiello il
percorso sarebbe un pochino più complicato che recarsi in gioielleria.
Il primo passo sarebbe quello di procurarsi un kit per la raccolta del
dna (in realtà ve lo manderebbero a casa direttamente gli ideatori del
progetto): tamponi di cotone per raccogliere un po' di saliva (la vostra
se volete regalare il vostro dna all'amato, per esempio).
Dopo di che
il tampone viene spedito nei labortatori di Grass in Svizzera in cui il
dna viene prima estratto poi amplificato, di modo da averne una quantità
maggiore di quella iniziale. A questo punto il materiale genetico non è altro che una (piccola) soluzione liquida
che viene mescolata a una serie di sostanze che hanno lo scopo di
fossilizzare il dna a temperatura ambiente, incapsulandolo alla fine
all'interno di piccole particelle di vetro. In questo modo il dna viene
salvaguardato, in modo simile, aggiunge Grass, a quanto avviene per i
fossili conservati nell'ambra.
Ora il vostro gioiello è quasi pronto:
basta prendere le particelle di vetro (nella sostanza della polvere
bianca contenente il dna) e incastonarle all'interno di un anello, un
ciondolo o un orologio, dove verranno poi sigillate e protette da un
diamante. Prezzo: 350 franchi svizzeri (circa 320 euro) per un anello.
Stando al suo ideatore, il dna fossile - che lui definisce il dono più
intimo e personale che esista - così processato si mantiene stabile nel
tempo. Anzi, aggiungono dal sito del progetto: il dna potrà essere
recuperato in qualsiasi momento e in qualsiasi momento l'identità del
proprietario potrebbe essere provata. Tramite analisi di laboratorio,
ovviamente. Non solo: i produttori assicurano che mantenuto in
condizioni ideali, ovvero lontano da radiazioni ultraviolette, fonti di
calore estreme e senza danneggiarlo, il dna contenuto nel vostro
gioiello potrà durare per almeno mille anni.
Ora - ammesso che non è
chiarissimo perché qualcuno dovrebbe voler spendere dei soldi per
verificare l'autenticità del dna contenuto nell'anello - qualcuno
potrebbe essere interessato a regalare qualcosa di così personale e
unico che duri così a lungo. Abbastanza da poterlo considerare
(anch'esso) per sempre.
Usa, è morta la "signora abbraccio": ha stretto a sé 500 mila soldati
Il Messaggero
Era conosciuta semplicemente come «signora Abbraccio» e per una
generazione di soldati dispiegati al fronte, dall'Iraq all'Afghanistan, è
stata una presenza stabilizzante nel corso degli ultimi 12 anni. E ora
che Elizabeth Laird non c'è più, i militari che tornano a casa dalla
guerra ne sentiranno sicuramente la mancanza. La simpatica vecchietta
83enne è morta giovedì scorso a Metroplex Hospital di Killeen, in Texas,
dove era ricoverata dai primi di novembre al termine di una lunga
battaglia contro il cancro al seno.
Elizabeth ha iniziato nel 2003 ad
attendere all'aeroporto il ritorno di ogni singolo militare. Una
missione decisa quando, dopo che un soldato dell'Esercito della Salvezza
la abbracciò per la prima volta, notò la reazione degli altri militari.
In questi anni ha donato centinaia di migliaia di abbracci, quasi
500.000 secondo il figlio, stringendo a sé soldati che erano inviati in
missione e che tornavano a casa. Dispensava abbracci a tutte le ore del
giorno, a prescindere dal tempo, fino a diventare una leggenda tra i
militari. «Questo è il mio modo per ringraziarli per quello che fanno
per il nostro paese», aveva detto la "Signora abbraccio" a FoxNews.com
il mese scorso.
Il colonnello Christopher C. Garver, un
portavoce militare, dopo la morte di Laird ha rilasciato una
dichiarazione in cui si legge che «a nome dei soldati, aviatori, civili e
famiglie del III Corpo e della base militare di Fort Hood, voglio
estendere le nostre sincere condoglianze alla famiglia della signora
Elizabeth Laird, conosciuta in tutto il Texas centrale come la "Hug
Lady". Lei per anni ha offerto a Fort Hood dedizione e sostegno ai
nostri soldati, famiglie e dipendenti civili. Per più di un decennio ha
detto personalmente addio alle nostre truppe che venivano dispiegate e
le ha accolte al loro rientro. È con il cuore pesante che esprimiamo la
nostra gratitudine ad Elizabeth, non solo per il suo servizio con la US
Air Force, ma anche in riconoscimento dei suoi instancabili sforzi nel
mostrare il suo apprezzamento ai nostri soldati e riconoscenza per i
loro tanti sacrifici».
In un profilo di Elizabeth, il Fort Hood Sentinel la descrive come «una
vera una celebrità tra i soldati». La donna ha spiegato al giornale che
considerava i militari parte della sua famiglia allargata e ha
raccontato di essere stata invitata anche a una cena per i giorno del
Ringraziamento in una mensa di Fort Hood. «Ho guardato tutti i soldati
seduti lì e ho pensato: questa è la mia famiglia. Sono meravigliosi,
sento come se una parte di loro mi appartenesse e spero che una parte di
me appartenga a loro».
Il ricovero della donna in ospedale non ha escluso dalla sua vita i
soldati che amava. Suo figlio, Richard Dewees, ha detto al Washington
Post che decine di militari sono andati a trovare la madre per
incoraggiarla. Ora la sua eredità vive in una pagina di GoFundMe
istituito da Dewees per contribuire a pagare le spese mediche della
madre. La pagina ha raccolto quasi 95.000 dollari donati da più di 3.000
persone nel corso dell'ultimo mese, ovvero circa 85.000 dollari in più
rispetto a quello che i familiari avevano originariamente chiesto. Il
sito è inoltre pieno di messaggi di soldati che oltre a donare soldi
hanno voluto condividere il ricordo di incontri brevi, ma memorabili,
con lei.
«Era lì quando nel 2008 sono partito per l'Iraq e poi di nuovo
quando sono tornato nel 2009», ha scritto Michael Singleton. «Ero
nervoso perché non ero mai stato al di fuori del paese e avevo appena
perso mia nonna. Quell'abbraccio mi ha aiutato, mi ha ricordato com'era
mia nonna». «Mio marito ha avuto la benedizione di essere abbracciato 4
volte dentro e fuori di Fort Hood. Lei era una signora incredibilmente
bella, il suo spirito mi ha fatto sorridere e il suo senso dell'umorismo
era incredibile. Sarà nei nostri pensieri e preghiere», ha invece
scritto Amy Schaefer.
Scaturchio tra storia e leggenda
Il Mattino
di Paolo Barbuto
Dici Scaturchio e pensi a babà, sfogliatelle, pastiere. Dici Scaturchio e
pensi al centro storico, alle voci, alla gente, al profumo che ti
trascina dentro quel negozio antico. Pensi a Napoli. È vero, questa
storia che racconta le dolcezze della città, oggi conosciute in tutto il
mondo, ruota tutta intorno a Napoli, anche se in fondo è un
imprevedibile melting pot di cultura del profondo Sud e della
Mitteleuropa, una ricetta scritta a dieci, venti mani da persone
appassionate e tenaci capaci di attraversare guerre, fuga, terremoti per
tenere fede alla promessa fatta più di cent’anni fa in un paesino della
Calabria: i nostri dolci saranno famosi in tutto il mondo. Promessa
mantenuta.
Dici Scaturchio e... da dove inizi? Forse dal finale, da quelle
prelibatezze che oggi in ogni parte del globo rappresentano la dolcezza
di Napoli. Partiamo dalla pastiera, da dove altrimenti? La ricetta è
quella classica, la più classica che c’è, ma il segreto di quella di
Scaturchio, che esce dal negozio nell’inconfondibile confezione di
latta, sta nel dosaggio perfetto dell’acqua di fiori: né troppa né poca,
devi sentire che c’è ma non deve coprire gli altri sapori.
E poi? Vabbé, quel babà Vesuvio che esordì al tavolo dei potenti nel G7
napoletano ormai è un pezzo di storia della pasticceria partenopea, è
anche un dolce con marchio depositato: solo Scaturchio può farlo. Quando
quel trionfale e soffice dolce venne presentato a Parigi, davanti ai
migliori pasticcieri d’Europa, arrivò anche il guizzo del genio della
pasticceria. Nel cuore del babà Vesuvio c’era ghiaccio secco che venne
bagnato al momento opportuno: così il vulcano di Napoli arrivò in sala
con il pennacchio di fumo, come nelle cartoline antiche. Standing
ovation. Inutile tentare di correre avanti e indietro davanti alle
vetrine dell’esposizione.
Cos’è meglio, le zeppole di San Giuseppe o le sfogliatelle? E poi meglio
le ricce o le frolle? E mentre sei sovrappensiero arrivi di fronte al
ministeriale e sei costretto a inchinarti. Pure quel cerchio di
cioccolata farcito è un marchio depositato: nel mondo il «ministeriale» è
solo di Scaturchio e nessun altro può imitarlo. E qui la nostra storia
fa un salto all’indietro di un secolo. Negli anni Venti del ’900 nei
café chantant di Napoli furoreggiava la diva Anna Fougez; di lei,
assieme a centinaia d’altri, s’innamorò Francesco Scaturchio e la Fougez
(che in verità si chiamava, più terra terra, Maria Annina Laganà
Pappacena) gli chiese come dono d’amore l’invenzione di un dolce tutto
nuovo.
Francesco, maestro cioccolatiere, creò un medaglione di cioccolato che,
grazie a una segreta ricetta a base di liquori, conservava il ripieno di
ingredienti deperibili (ricotta, nocciola, frutta) anche per quattro
mesi. Roba incredibile per quell’epoca, un dolce che potevi conservare
per mesi. Meglio «proteggerlo» pensarono gli Scaturchio, e chiesero al
re di poterlo inserire tra i dolci di corte. Ma la procedura era lunga,
documenti, prove, assaggi, lettere e pacchi da inviare, addirittura,
alla sede di diversi ministeri.
Così, un giorno, Francesco Scaturchio sbottò: «Ma questo è un affare
ministeriale», e così impose il nome a quel dolce farcito che ancora
oggi fa ingolosire Napoli e il mondo intero. L’avrete capito da
quest’ultimo racconto. La nostra storia affonda le radici nel tempo ed è
stata iniziata da uomini e donne nati nell’800. Partiamo dalla
Calabria, da un paese che si chiama Dasà, 28 chilometri da Vibo
Valentia, un’economia basata sulla produzione di olive, millecento
abitanti oggi, poco più di duemila all’epoca. A Dasà, dove la metà della
popolazione fa ancora Scaturchio di cognome, all’inizio del ’900 c’è
Pasquale che è il secondo di nove figli e ha imparato l’arte della
pasticceria dalla sorella Rosa. A Pasquale quel paese sta stretto,
prende la valigia e impiega tre giorni per raggiungere Napoli dove ha
deciso che farà fortuna.
Lo seguono pian piano quasi tutti i fratelli compreso Giovanni, il più
piccolo, che diventa primo assistente della sorella Rosa e bravissimo
pasticciere. Poi arriva la Grande Guerra, il giovane Giovanni parte per
il fronte. Tornerà alla fine del conflitto con una moglie
austro-ungarica, Katharina Persolija che parla tedesco e lo ama da
morire, e con una idea in testa: aprirò il mio negozio. Ecco, questo è
il vero punto di partenza della nostra storia. Perché Giovanni nel 1920
piazza l’insegna «Scaturchio» sopra una bottega di piazza San Domenico
Maggiore.
Lì già c’era una pasticceria che si chiamava Nord-Sud per via
di proprietari provenienti per metà dall’alta Italia. Ed è lì che
Scaturchio diventa Scaturchio. Nel laboratorio sistemato alle spalle si
preparano babà, sfogliatelle, e anche i «susammielli», tipico dolce
calabrese che fa il suo esordio a Napoli e che diventerà subito dolce
natalizio prediletto dai partenopei. Ma la moglie austro-ungarica di
Giovanni, ha insegnato al marito anche i segreti della «sua»
pasticceria.
Così da Scaturchio si trova anche la Sacher migliore d’Italia e si
sfornano strudel come nei bar di Vienna, e poi c’è uno strano tipo di
dolce fatto di palline di brioche tutte ravvicinate e farcite con ogni
leccornia. Il nome ufficiale sarebbe Buchteln ma ai napoletani vengono
presentate come «Brioscine del Danubio»: oggi non c’è napoletano che non
conosca il «Danubio», dolce o rustico.
Giovanni e Katharina hanno sei figli tra i quali Ivanka che sposerà un
cugino venuto dalla Calabria, Francesco Cannatello, anche lui
pasticciere, e raccoglierà l’eredità del locale assieme al fratello
Mario, morto nella primavera di quest’anno, ultimo simbolo vivente della
avventurosa storia di famiglia. Nel frattempo la fama delle bontà
napoletane invade tutto il mondo. Nel locale storico di San Domenico
Maggiore entrano napoletani, turisti e vip. I dolci di Scaturchio
finiscono sulle tavole più importanti, alle feste dei regnanti d’Europa,
ai galà degli uomini politici, dei potenti della terra.
E una Rai di
metà anni ’90 che già tentava di lanciare la cucina sul piccolo schermo,
quando si tratta di scegliere un pasticciere in grado di raccontare i
segreti del dolce agli italiani, pensa subito a Napoli, a Mario
Scaturchio. Poi un giorno arriva la telefonata dalla Santa Sede: è il
2003, Giovanni Paolo II festeggia i suoi 25 anni di pontificato. Bisogna
preparare una torta di oltre cinquanta chili che raffiguri alla
perfezione piazza San Pietro, quella torta parte da Napoli e finisce
sulla tavola del Papa, accolta con applausi e ammirazione dagli ospiti
del Santo Padre.
La storia recente della pasticceria più amata dai napoletani si
arricchisce con altri artisti, oltre a quelli del dolce: Lello Esposito,
Mimmo Palladino e Sergio Fermariello realizzano creazioni d’arredo
uniche per il locale storico di piazza San Domenico, per quello del
Vomero e anche per l’«Opera Cafè» nel foyer del teatro San Carlo. La
storia recente registra anche momenti di buio profondo, superati con
l’innesto di nuovi soci e nuovi capitali, ma con la stessa antica
passione che ha segnato l’intera vicenda napoletana di Scaturchio.
Perciò ancora oggi, districandosi fra la folla del centro storico,
quando si passa davanti a quell’insegna antica, è impossibile resistere
alla tentazione di fermarsi: dici Scaturchio e pensi che quei dolci sono
la tua droga.
Lunedì 28 Dicembre 2015, 18:07 -
Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 01:00
lunedì 28 dicembre 2015
Coppia si separa e lascia il cane legato e senza cibo: l'agonia di un Boxer ridotto uno scheletro
Il Mattino
di Alessandra Chello
Una foto che è un pugno nello stomaco. Quel mucchietto di ossa era un
cane. Un Boxer. Aveva anche un nome: Igor. E una casa. Con una famiglia
che credeva non l'avrebbe abbandonato per niente al mondo. Invece un
brutto giorno marito e moglie si separano. E “dimenticano” per giorni e
giorni di portare da mangiare e da bere a Igor. Rinchiuso e pure legato
a catena all'interno di una baracca.
Grazie a una segnalazione dei vicini, arrivano i volontari: il cane è in
grave stato di disidratazione, con piaghe da decubito e in condizioni
di ipotermia. Immediatamente ricoverato in un clinica veterinaria ha
lottato con quelle poche, flebili forze per farcela. Per restare
aggrappato alla vita.
Ma era troppo tardi.
E' morto dopo una lenta agonia.
Dove è accaduto? Non è importante. Potrebbe accadere ovunque l'essere
umano consideri un animale meno di uno zero. Al punto da «dimenticarlo»
legato in una lurida baracca senza acqua nè cibo.
Se questa è stata la sua vita, povero Igor nato sotto una cattiva stella.... almeno ora sei libero.
Domenica 27 Dicembre 2015, 21:47
- Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 01:00
RedStar3, il Linux della Nord Corea che spia gli utenti e traccia i file
Corriere della sera
di Alessio Lana
Il sistema operativo sviluppato nel Paese
asiatico sfrutta il software open source ma lo rende chiuso. E in grado
di tracciare qualunque attività digitale dell’utente
Così aperto
che la Corea del Nord l'ha chiuso. Da tempo gira online un leak di Red
Star 3, sistema operativo dal nome altisonante (sta per «Stella Rossa»)
che il regime asiatico ha adottato per la pubblica amministrazione al
posto dell'ormai vetusto Windows XP. Red Star si basa su Linux, il
sistema operativo open source nato oltre vent'anni fa dal finlandese
Linus Torvalds con la particolarità appunto di essere un software
aperto, modificabile da chiunque senza chiedere permessi. Il regime di
Kim Jong-un ha pensato di farne una versione autarchica che, però, è più
chiusa che mai. La rivelazione arriva da due ricercatori, Niklaus
Schiess e Florian Grunow, che domenica scorsa hanno rivelato i lati
oscuri della Stella Rossa.
La gabbia governativa
Tracciabilità completa
Sembra OS X
Schiave del sesso», il Giappone chiede scusa a Seoul 70 anni dopo
Corriere della sera
di Annalisa Grandi
Il governo nipponico e quello della Corea
del Sud hanno firmato un accordo sulla vicenda delle «comfort women», le
donne che durante il secondo conflitto mondiale vennero rapite e usate
come schiave del sesso per i militari giapponesi
Il governo giapponese
ha chiesto formalmente scusa alla Corea del Sud per quella che era
rimasta la questione irrisolta più spinosa nei rapporti fra i due paesi,
quella delle «comfort women», le donne sudcoreane ma non solo che
durante la seconda guerra mondiale vennero impiegate come schiave del
sesso per i militari nipponici. «Il premier Abe - ha detto il ministro
degli esteri giapponese Fumio Kishida - esprime le sue sincere scuse e
il suo rimorso per tutte coloro che , come “comfort women”, hanno
vissuto sofferenze e subito danni psicologici e ferite fisiche». Il
governo giapponese ha anche annunciato la creazione di un fondo di un
miliardo di yen (7 milioni e mezzo di euro) per risarcire le donne
impiegate come schiave del sesso. «Se il Giappone manterrà le promesse,
la questione è risolta finalmente e irreversibilmente» ha commentato il
ministro degli esteri sudcoreano Yun Byung-se
Le «comfort women»
Le testimonianze
Francia, aperti al pubblico gli archivi del regime collaborazionista di Vichy
Corriere della sera
di Annalisa Grandi
Saranno consultabili per la prima volta da
tutti i cittadini atti di processi e verbali di interrogatori. Durante
il governo collaborazionista del maresciallo Pétain oltre 76mila ebrei
francesi vennero rastrellati e mandati a morire nei campi di sterminio
La pagina nera della storia della Francia. Un decreto pubblicato in
gazzetta ufficiale rende accessibili dal 28 dicembre tutti gli archivi
di polizia e di giustizia del regime collaborazionista di Vichy. Oltre
200mila documenti, rimasti sotto chiave negli archivi per 70 anni, e che
raccontano anche delle decine di migliaia di ebrei deportati dalla
Francia e mandati a morire nei campi di sterminio.
Il governo collaborazionista
Durante
il governo collaborazionista del maresciallo Philippe Pétain, dal
luglio 1940 all’agosto 1944, almeno 76mila ebrei francesi furono
rastrellati, anche grazie all’impiego di brigate speciali incaricate
proprio di dare la caccia sia agli oppositori politici che a comunisti
ed ebrei. L’episodio passato alla storia, il 16 luglio 1942, giorno
della retata del Velodrome d’hiver di Parigi: 4500 poliziotti francesi,
su ordine di Renè Bousquet, capo della polizia di Vichy, rastrellarono
oltre 13mila ebrei che vennero rinchiusi proprio nel Velodromo per poi
essere trasferiti nei campi di sterminio tedeschi. Tra loro oltre 4mila
bambini e 5800 donne.
I documenti
I documenti riguardanti quel rastrellamento, ma anche tutti i fascicoli dei processi aperti durante il regime, i verbali di interrogatorio, le lettere dei delatori, tutto sarà consultabile . Gli archivi erano parzialmente accessibili fino agli anni ‘70, dal 2008 poi una legge ne aveva consentito la consultazione integrale ai ricercatori. Adesso invece, chiunque potrà avere accesso a quel materiale. Con una sola eccezione, quella per i documenti secretati: per consultarli bisognerà presentare domanda alle autorità, che potrà negare l’autorizzazione per motivi di sicurezza nazionale.28 dicembre 2015 (modifica il 28 dicembre 2015 | 14:10)