Corriere della sera
Nuovi particolari dagli interrogatori in Procura di Marco Fassoni Accetti. Il superteste: la studentessa fu strangolata per vendetta nel gennaio 1984

ROMA - Spunta un'altra «ragazza con la fascetta» nell'intrigo che da 30 anni
ha inghiottito Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Si chiamava Caterina Skerl, detta Katy, aveva 17 anni e frequentava il liceo artistico in via Giulio Romano, a Ponte Milvio. Figlia di un regista americano, abitava a Montesacro e il 22 gennaio 1984 fu trovata strangolata in una vigna, a Grottaferrata.
Il giorno prima, nel pomeriggio, Katy era attesa da un'amica sulla Tuscolana, dove non arrivò mai: in quel lasso di tempo incontrò la belva che inghiottì anche lei. Mantello nero, pantaloni di velluto e stivaletti bordeaux ; viso pulito, capelli lunghi e lisci: sul collo i segni della cinta e del fil di ferro usati dal killer. Un enigma: un altro cold case lasciato in eredità agli investigatori romani dal milieu affaristico-criminale del secolo scorso. Ma anche un giallo che ora, a sorpresa, torna d'attualità.
Emanuela, Mirella. E Katy. E' stato Marco Fassoni Accetti, autore cinematografico indipendente, l'uomo che nei recenti interrogatori in Procura si è autoaccusato di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi, a legare il delitto di Grottaferrata alle quindicenni. Il regista, che all'epoca sostiene di aver militato in un «nucleo di controspionaggio» incaricato di svolgere «azioni di pressione» nell'ambito di presunte lotte di potere all'interno del Vaticano, avrebbe attribuito l'omicidio della Skerl alla «fazione opposta» alla sua. Scenario inquietante, da Guerra fredda: ragazze a spasso per Roma pedinate, «agganciate» con l'inganno, usate per foto e filmati utili a ricattare, distruggere i «nemici». Quelli della Orlandi e della Gregori, secondo il telefonista, furono gli unici «sequestri simulati» attuati per «proteggere il dialogo tra Santa Sede e Paesi del Patto di Varsavia»: dovevano durare poco, ma le «trattative» fallirono. A Katy, invece, il destino ha riservato la morte tra filari di vite rinsecchiti dal gelo.

La Procura, su questa concatenazione di eventi degna di un sofisticatissimo thriller , è cauta. Preso atto della risposta del superteste sul perché solo ora abbia
consegnato il presunto flauto di Emanuela e raccontato la sua verità («confido nel nuovo corso in Vaticano»), restano molte le domande sospese. Quali prove? Quali mandanti? Sul binomio Orlandi-Gregori i riscontri per ora sono deduttivi: Fassoni Accetti è di certo a conoscenza dell'infinita serie di rivendicazioni «firmate» dai sequestratori, tanto che ha consentito di decrittare i messaggi. Su Katy neanche questo. Anche se, giorni fa, un «richiamo» inatteso è giunto. Nella lettera anonima ricevuta da una compagna di Emanuela e dalla sorella di Mirella c'è scritto: «Non cantino le due belle more per non apparire come la baronessa e come il 21 gennaio martirio di Sant'Agnese con biondi capelli nella vigna del signore». Alt. Attenzione: «belle more» (le quindicenni), 21 gennaio (morte di Katy), «biondi capelli» (Katy) e «vigna» (luogo criminis ). Questi 4 rimandi qualche brivido lo fanno correre.
Un altro «indizio» sta nel vezzo comune della fascetta sulla fronte? O nel fatto che la Skerl fosse iscritta alla Fgci, e ciò avrebbe una logica se si accettasse l'idea della «vendetta» armata da blocchi contrapposti? Ancora. Il teste afferma che Emanuela e Mirella oggi sono vive: da qui l'invito a «non cantare»? Domande, suggestioni, misteri. Come quello della morte di Josè Garramon, 12 anni, figlio di un funzionario uruguayano dell'Onu, che il 20 dicembre 1983 fu ucciso da un furgone nella pineta di Castel Porziano. Al volante c'era proprio Fassoni Accetti, che si allontanò e fu rintracciato dalla scorta di Severino Santiapichi, il magistrato che si occupava dell'attentato al Papa e aveva la villa poco distante. Il regista finì in carcere per un anno.
Nei giorni scorsi, al Corriere , ha dichiarato: «Era buio, c'erano delle ombre. Quel bambino mi fu gettato sotto la macchina, fu un incidente provocato. In seguito sono stato assolto. La prova è in un comunicato sul caso Orlandi in cui si parla di una pineta: era un messaggio in codice indirizzato a me, è lampante». Il 27 settembre 1983, effettivamente, arrivò al giornalista Joe Marrazzo del Tg2 una lettera firmata «Phoenix», sigla usata allora dal Sisde per incastrare i sequestratori. «Vogliamo generosamente ricordare a "Mario" che nella pineta c'è tanto posto per aumentare la vegetazione...», diceva il testo. Allusioni, torve minacce: era davvero un avvertimento? Tre ragazze, il piccolo Josè. E un giallo intricatissimo, in queste ore a una svolta.
Orlandi, superteste: risolto il rebus dei messaggi in codice
Caso Orlandi, la svolta: «Ho sequestrato io Emanuela»
Fabrizio Peronaci
fperonaci@rcs.it
26 aprile 2013 | 10:04