Una lettera della figlia Maria Fida per chiarire: lei non chiede mai rimborsi né denaro di alcun tipo quando parla del padre | |
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Corriere della sera
Il sottosegretario Daniela Santanchè davanti al tribunale di Milano
di Nino Luca
(G.Franzoi-H24)
PARMA - Ieri a Parma si celebrava la giornata della bicicletta, con tanto di arrivo di tappa del Giro d'Italia, ma per un quarantaduenne di Roma, in Emilia in visita alla famiglia della moglie, la bicicletta d'ora in poi non sarà più il mezzo di trasporto preferito. Una passeggiata su due ruote verso uno degli spazi verdi della città ducale è infatti costata 257 euro di multa più la decurtazione di cinque punti della patente. Reato commesso: avere risposto al cellulare ed essere subito pizzicato da una pattuglia del Carabinieri, una delle tante che ieri controllavano la città proprio in vista dell'arrivo del Giro d'Italia.
«Ero lungo viale Mentana, mi è squillato il cellulare e, lo ammetto, ho fatto l'errore di rispondere senza fermarmi - racconta Maurizio Strozzo - A quel punto i militari mi hanno intimato l'alt dicendomi di dover fare la multa perchè è vietato parlare al telefono anche in bicicletta. Così è prescritto nel nuovo codice della strada. Io ho capito l'errore e per il verbale ho consegnato il mio documento, che però essendo la patente ha fatto scattare anche la decurtazione di cinque punti. Se avessi dato loro la carta d'identità non sarebbe successo! - si lamenta lo sfortunato ciclista romano - Ma a quel punto avevo mostrato quel documento e non potevo più farci nulla. E pensare che in quel momento lungo la strada che stava percorrendo Maurizio Strozzo il traffico era ridotto vista la vicinanza con l'area chiusa al traffico per il passaggio della corsa rosa, ma non c'è stato niente da fare: multa e punti». Ora è pronto a fare ricorso tramite il suo avvocato «soprattutto per quei cinque punti dalla patente che non mi sarebbero mai stati sottratti se avessi mostrato la carta d'identità. Una disparità di trattamento - conclude Strozzo - che reputo inaccettabile».
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Di Pietro insieme con Bersani: "Parlamento pieno di Giuda" A dar manforte al segretario democratico a Pavia c'è anche un'altro esponente politico che ancora non è salito sui tetti. Si tratta di Antonio Di Pietro, che sostiene anche lui il candidato del centrosinistra alla Provincia Daniele Bosone e dichiara: "Gli italiani sono stanchi della politica di questo governo. Ci troviamo in un momento importante, per le amministrative ed i referendum, ed è l’occasione per andare a dire una volta per tutte, al governo Berlusconi, che non ha più la maggioranza degli italiani. La maggioranza numerica in Parlamento è comprata, venduta, ricattata, e non corrisponde alla maggioranza degli italiani". Poi Di Pietro lancia un invito al presidente della Repubblica: "E' bene quindi che il Capo dello Stato, al più presto, sciolga questo Parlamento pieno di persone immonde e di Giuda".
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Intervista a Roberto Cercelletta, il più famoso "ladro" di monetine della Capitale rilasciato sabato dopo l'arresto. Proposta: "Rivoglio i 600 euro. In cambio darò in beneficenza le monete straniere".
Arrabbiato, a tratti disperato, sicuramente disoccupato, pronto anche a lavorare e a consegnare il suo tesoretto di monetine straniere. D'Artagnan è stato rimesso in libertà sabato pomeriggio dopo l'arresto, venerdì, a Fontana di Trevi, per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Si era arrampicato sul monumento per protestare contro la delibera della Giunta che da pochi giorni vieta di rubare le monetine. Si era sfregiato il pancione, come tante altre volte, perché i soldi rastrellati dalla fontana sono la sua unica fonte di sopravvivenza.
Ma è davvero disperato? "Disperato e inca... nero".
Davvero non sa come campare con tutti i soldi che ha raccolto dal 1968? "Non erano mica così tanti! Avete scritto che l'Acea rastrellava solo il lunedì. Ma non è vero! Ultimamente passavano martedì, mercoledì, giovedì, praticamente tutti i giorni. A me restavano quelli gettati la domenica".
Buttali via... quanto raccoglieva il lunedì? «Duemila, duemilacinquecento euro».
Sono diecimila euro al mese... "Magari! Sai quanti fondi di bottiglia tra monetine africane e asiatiche che non valgono niente?"
Una minima parte, immagino... "E poi mica li tenevo tutti per me. Faccio beneficenza. Ho aiutato un sacco di poveracci peggio di me. Sai quante notti ho passato in giro a dare coperte di lana a quelli che dormono per strada?"
No, quante? "Tante, altro che la Caritas".
Che rapporto ha con la Caritas, fino a pochi giorni fa sua diretta concorrente? "A me non m'ha mai aiutato. Non mi fido. Meglio a me, quei soldi, che a loro".
Che vuol dire che non si fida? "Che vorrei proprio sapere, voce per voce, che fine hanno fatto tutti i soldi che gli sono stati consegnati. Chi hanno aiutato?"
Senta, D'Artagnan, e con i vigili che rapporto ha? "Ottimo, loro facevano la multa e io raccoglievo"
Ma i tre sospesi hanno visto la spinta di suo fratello alla Iena? "Non potevano, stavano su".
Secondo lei Caioni (ex comandante I Gruppo, ndr) meritava il trasferimento? "No. Caioni è da 10 e lode"
E che voto dà al comandante del corpo Giuliani? "5 e mezzo"
Perché? "Perché s'è fatto trascinà dagli eventi e non sapeva quello che è successo quella mattina" (13 marzo, ndr, quando è stato registrato il servizio delle Iene).
E il sindaco Alemanno? "Su Fontana di Trevi ha sbagliato. Merita Zero, sotto zero. Però su Tor Bella Monaca se sta a impegnà. Per questo gli do 7"
Se potesse cosa gli chiederebbe? "Uno, di non permettere che nel 2011, con l'uomo sulla luna, a Roma ci siano ancora persone a dormì de notte pe' strada. E poi un lavoro per me, perché così non posso campa'" .
E al comandante dei vigili Giuliani? "A lui di ridarmi quei 600 euro che mi hanno sequestrato. Sò miei, l'ha detto pure il giudice"
Quelli può prenderli quando vuole... "Non me pare. L'altro ieri a via Montecatini mica me l'hanno ridati...!"
Poi lascerebbe in pace Fontana di Trevi? "Facciamo così. In cambio consegno a un'associazione di beneficenza il mio tesoretto".
Alla Caritas, per esempio... "No, mai, manco morto. A qualunque altra tranne che alla Caritas".
Quanti soldi sono? "Qualche sacco di monetine straniere"
Ma quanto valgono? "E chi lo sa. Non so neanche di che paese sono. Dollari, Yen e Sterline li cambio, quelli no"
Come vanno le ferite? "Sono abituato, ma ieri (sabato, ndr) me so' sentito male in metropolitana"
Cosa ha avuto? "Un mezzo infarto. M'ha raccolto un signore che passava. Del resto in cella, l'altra notte, a via Genova, non m'hanno mica trattato bene! Mettici pure lo stress del Tribunale. Soffro di diabete, me devo prende le cardioaspirine".
Ma quando la smetterà di ferirsi? "Quando mi costringeranno a tagliarmi le vene"
Non dica così. Che poi i vigili si preoccupano... "Una di sicuro si.."
Chi? "Mia nipote. Fa la vigilessa ad Ardea".
Matteo Vincenzoni
09/05/2011
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ROMA - «L'amico di D'Alema, l'uomo di D'Alema, il manager di D'Alema. Basta! Fossi davvero colpevole, allora chissenefrega. Ma io lo vedo il progetto, sa? Come dice Saviano: la macchina del fango... Adesso ci sono le elezioni e allora mi viene un dubbio: forse non sono io da colpire».
Vincenzo Morichini, 66 anni, ex numero uno di Ina-Assitalia, amico da 20 del leader Maximo, a cui vendette pure la celeberrima barca Ikarus, si fa passare direttamente il cellulare dalla compagna della sua vita, la pittrice Patrizia Molinari. Da due giorni sono a Granada («Vacanze rovinate...») e al tramonto vedranno l'Alhambra. Stanno insieme da 34 anni, hanno tre figli. «Sì - dice Morichini con stizza -. E mi morissero tutti, se quella che vi dico non è la verità».
Lei è indagato per fatturazioni false. È vero o no?
«Sì, ma alla fine - vedrà - verrà fuori che non ci sono le fatture false. Semplicemente perché non esistono. Io ho 66 anni e non ho mai lavorato con le tangenti. Eppure la Finanza è entrata in casa mia manco fossi uno spacciatore di droga. E sapete qual è l'unica cosa che si son portati via? La documentazione della Fondazione Italianieuropei di D'Alema. Una mira precisa. Ma per fortuna è tutto alla luce del sole. La mia società, la Sdb, Soluzioni di Business, è pulita: pagamenti, fatture. I soldi dei clienti sono in banca...».
Eppure l'imprenditore Pio Piccini ha raccontato ai pm che lei, per la sua attività di consulente, lobbista, mediatore d'affari, gli avrebbe chiesto anche il 5% degli incassi, se fosse andato a buon fine l'appalto di Finmeccanica per la gestione delle intercettazioni. E che quella percentuale - per Piccini - era destinata ad essere spartita tra lei, il Pd e la Fondazione Italianieuropei di D'Alema. Ha capito bene?
«Sia chiaro, io non ho mai speso il nome di Massimo D'Alema per procacciare affari ai miei clienti. E la provvigione di cui lei parla, se non erro si trattava del 5,5 per cento sul fatturato, sarebbe andata esclusivamente alla mia società. Né al Pd né alla Fondazione Italianieuropei. L'affare, comunque, non andò in porto».
Piccini ha dichiarato anche di aver fatto due versamenti da 15 mila euro alla Fondazione di D'Alema...
«Guardi, il Presidente non sapeva nemmeno chi fossero quelli che davano i contributi. D'Alema non ne sapeva assolutamente nulla. Ero io ad avvicinare gli imprenditori, decine e decine di imprenditori, convincendoli a versare dei contributi alla Fondazione: 10 massimo 20 mila euro ciascuno, a parte i soggetti istituzionali come Finmeccanica o le Poste...».
Sa cosa diranno a questo punto i maligni? Morichini è il nuovo Primo Greganti, il comunista che ai tempi di Mani Pulite non confessò mai di aver preso tangenti.
«No, io non sono Greganti. Questa è una barzelletta, anzi una tragedia. Perché io ci credo veramente, anzi ormai credo più nelle fondazioni che nei partiti e Italianieuropei è una cosa seria, fa ricerca da anni, lavora per la formazione di nuovi dirigenti in politica, s'impegna sulle energie rinnovabili. Se un errore ho commesso, questo sì, è quello di aver accettato contributi per la crescita di Italianieuropei anche da quei 5-6 imprenditori a cui la mia Sdb curava le relazioni».
Magari versavano soldi alla Fondazione perché pensavano di poter avere in cambio qualcosa.
«Escluso».
Le cito altri suoi clienti: Cler Coop, Electron Italia. La Cler Coop pare abbia avuto appalti milionari dalla Provincia di Roma e dall'Acea, l'Electron dal Porto di Napoli...
«Stupidaggini. Alla Provincia di Roma c'è Zingaretti, che era bettiniano e veltroniano, mica dalemiano come me. Perciò lì non mi posso neanche avvicinare. E l'ex senatore Pds Nerli lo conosco, certo, ma non ho mai stretto rapporti con lui neanche quando era presidente del porto di Napoli. Forse come lobbista valgo poco, mi conviene tornare a fare l'assicuratore».
Nelle ultime ore ha sentito D'Alema?
«No, non c'è bisogno. Gli voglio molto bene».
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E, invece, ovviamente, non succederà nulla di tutto questo.D’Alema e tutti i leader della sinistra non devono neppure denunciare il linciaggio mediatico né battersi per l’immunità. Ce l’hanno già, per diritto divino, in quanto eticamente e moralmente superiori per razza e fede (comunista). In Italia non manca la libertà di stampa, manca la libertà di parlare dei fatti della sinistra. Il giornale faro del Pd, La Repubblica , è prono e complice del suo partito di riferimento più di quanto il mensile Hurrà Juventus lo sia con gli juventini. Dove sono i cronisti d’assalto che hanno scovato (si fa per dire) e pubblicato migliaia di pagine dell’inchiesta sul caso Ruby?Saranno in ferie o, forse, i loro amici magistrati le carte su D’Alema se le tengono ben strette perché il segreto d’ufficio in questo caso è inviolabile, in campagna elettorale addirittura sacro.
Oltre che i giornali, anche il medesimo D’Alema, e Bersani e Di Pietro, non sembrano interessati al caso. Strano, di solito basta una velina di una qualsiasi procura per fare scattare la loro indignazione sul degrado della classe politica. Per loro il silenzio è d’oro solo quando ci sono di mezzo soldi per ungere le ruote del Pd in cambio di appalti e favori. Avendo letto le carte dell’inchiesta,scommetto che staranno zitti a lungo, perché si sta per scoperchiare il pentolone degli intrighi inconfessabili targati Pd.Powered by ScribeFire.
Materiale più che sufficiente per una bella querela, che però il direttore del Tg1 non ha fatto. Trattamento completamente diverso invece per l’omologo in salsa progressista del libro bianco, visto che il dossier sulla Berlinguer ha scatenato immediatamente le reazioni dell’Usigrai, della Fnsi, del solito Giulietti di Articolo 21 e di qualche esponente del Pd. Oltre che, ovviamente, quelle della Berlinguer, indignata contro quel testo «zeppo di accuse maleodoranti nei miei confronti costruite su informazioni totalmente false, scambi di persona e attacchi infamanti a me e alla mia direzione». Annunciata querela, che ha sorpreso non poco Campagna: «È la prima volta che un direttore querela un sindacalista - risponde il giornalista del Tg1 - se la Berlinguer andrà avanti con la causa, vorrà dire che metterò un banchetto a piazza Navona per raccogliere fondi per difendermi».
Il comitato di redazione del Tg3 è sceso in difesa della direttora, accusando di sciacallaggio il collega del Tg1. Il quale però, come sindacalista, spiega di aver semplicemente raccolto le testimonianze spontanee di alcuni giornalisti del Tg3, anonime perché «terrorizzati» dalle possibili vendette della direzione. «Io le ho messe insieme, in un documento interno, e le ho sottoposte all’attenzione degli organi sindacali - spiega Campagna - credo che l’Usigrai dovrebbe fare delle verifiche e la Berlinguer dare delle risposte, mi sembra il minimo che si possa chiedere».
Su alcuni dei «fatti» (lo ripetiamo: assolutamente da dimostrare) raccontati nel Libro Bianca, non sarebbe difficile una verifica. Sulle presunte omissioni, per esempio, basterebbe un controllo d’archivio. Si parla del «silenzio» sulle indagini giudiziarie che hanno coinvolto i vertici di Monte dei Paschi di Siena, sull’arresto di un consigliere regionale siciliano del Pd e sulla condanna di un consigliere campano, ancora Pd, per violenze sulle famiglia. Più difficile dimostrare la veridicità di altri episodi, a meno di confessioni pubbliche dei diretti interessati.
Ad esempio quando si parla di promozioni e stop interni, tutti dovuti al grado di «affinità» con il direttore del Tg3. Certo si possono confermare le promozioni a caporedattore di due ex membri del precedente cdr, ma che si spieghino perché l’ex comitato avrebbe «accompagnato» la Berlinguer alla direzione, resta una valutazione abbastanza opinabile. Con una ricerca si potrebbe invece dimostrare se «in occasione della manifestazione delle donne di piazza del Popolo a Roma» la Berlinguer abbia fatto «un editoriale di appoggio alla manifestazione antiberlusconiana, dopo due collegamenti e altrettanti servizi di commento». Gli editoriali, ricordiamo, che sono uno dei cavalli della battaglia anti-Minzolini. Si evidenza la forte esposizione della Berlinguer, unico tra i direttori di testata Rai a condurre sia il tg che una rubrica di approfondimento (Linea notte).La parte che riguarda «il clima instaurato al Tg3», le presunte «fughe» di colleghi verso altri tg Rai (il Tg2 soprattutto), gli spostamenti e le «rimozioni», e i cosiddetti «commissariamenti» di certi servizi importanti (come quello di Montecitorio), i malesseri (ripetiamo ancora: presunti e da dimostrare) dei corrisponenti all’estero, dei colleghi della TgR (testata regionale che diffonde sul Tre), sono altrettanti punti su cui potrebbe fare luce l’Usigrai, magari per dimostrare che è solo fango «maleodorante» come dice la direttora (che ha ragione fino a prova contraria).
Poi due episodi. Il primo, una regista spostata di punto in bianco dalla Berlinguer, con un documento «con tante firme di tutti i tecnici» per stigmatizzare quanto successo. Vero, falso? Qualcuno potrebbe dimostrarlo? Usigrai? E poi un altro aneddoto, che dovrebbe raccontare il piglio deciso con cui Bianca manda avanti il suo giornale. Un’intervista al segretario del Pd Pierlugi Bersani, che la Berlinguer cerca di finire con un sì o un no chiaro del leader, che invece tergiversa. Lei invita a dire «sì o no», e Bersani, a programma finito e ormai fuori onda, sbotta con la direttrice-conduttrice: «Risponda con un sì o con un no lo dici a tua sorella!», testimoni - pare - i tecnici di studio. Ma non basta raccogliere gli sfoghi anonimi di chi detesta la direttora, bisogna dimostrare le accuse. Non è mica Minzolini.
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Per raccontare l’orrore e il dolore di Scampia, uno dei troppi luoghi devastati dal cemento, dal sangue,dall’indifferenza della sinistra politica napoletana, non serve scomodare San Tommaso, l’apostolo di Cristo che per credere voleva toccare. Basta recarsi in libreria e chiedere delle memorie di padre Aniello Manganiello, parroco del quartiere simbolo dello spaccio e dei morti ammazzati all’ombra delle Vele, set scontato del film Gomorra ispirato al libro di Roberto Saviano. Già, Saviano. «Uno che non ha abitato nemmeno per un giorno nel quartiere né vi ha sostato a lungo, lo avrei saputo, ci saremmo incontrati, me ne avrebbero parlato i miei parrocchiani o i conoscenti e non c’è persona da quelle parti che io non conosca », spiega don Aniello nell’incipit del sedicesimo capitolo del libro Gesù è più forte della Camorra (edito da Rizzoli, 17 euro) scritto insieme al giornalista Andrea Manzi.
Proprio su Roberto Saviano, il tuttologo che senza aver mai messo piede a Scampia spara a zero sui residenti che sparano davvero, verte una parte significativa di questo crudo pamphlet girato nelle viscere del rione maledetto dove oltre a Roberto anche la polizia, e Cristo, non entrano. Qui il sacerdote scomodo ha trascorso sedici anni (un anno fa tra le proteste generali è stato trasferito a Roma) senza mai chinare il capo, tra attentati, minacce, ritorsioni, furti e oltraggi in sacrestia, fedeli assassinati sul sagrato, conversioni di criminali, drogati e moribondi di Aids coccolati come fossero figli suoi. Ha portato la Croce per radicare un po’ di speranza in peccatori irriducibili. Leggere tutte d’un fiato queste 242 pagine serve a capire la differenza tra chi rischia davvero e chi per Mondadori. L’aver osato criticare in tv l’epopea di Gomorra («Saviano ha gettato fango su Scampia e su Napoli, dandone al mondo un’immagine negativa. Un’operazione da cassetta che non ha avuto rispetto per nessuno degli 80mila abitanti») gli è costata un’imputazione di lesa maestà da Massimo Giletti, Klaus Davi e quant’altri presenti in trasmissione. Poco esperto dei tempi televisivi, il Nostro voleva solo far capire che la lotta alla mafia non dev’essere ideologica ma concreta. Ci torna nel libro: «Bisogna sporcarsi le mani, entrare nel degrado, portare via chi è rimasto prigioniero. Se ci sono le fiamme in un cinema zeppo di persone, cerchi di mettere in salvo gli spettatori oppure organizzi un convegno sulla sicurezza nelle sale?». La risposta non è scontata, posto che d’anticamorra abbondano i meeting, i libri, gli articoli, le fiction.
«È una funzione importante la cultura, che non voglio minimizzare. Ovviamente questi messaggi possono però scadere nell’enfasi, nell’autoreferenzialità, nell’iperpresenzialismo di chi li pronuncia (…). Tali attività, sostenute da una funzione per così dire oracolare, non salvano alcuna vita». Il parroco mette in guardia anche dalle manifestazioni contro i clan «che non raggiungono né il cuore né la mente dei malavitosi che spesso non hanno proprio gli strumenti per capire». Lui, i boss, li ha affrontati di petto. Ci ha parlato. Li ha ascoltati. Una missione apostolica avara di successi, comunque utile perché «solo quando si prospetta loro una nuova dimensione esistenziale è possibile rinsavirli». Quando assassini e spacciatori gli hanno chiesto un futuro diverso per i loro figli, «io non ho mai mandato quei ragazzi ai cortei anticamorra, con una bandiera in mano, un paio di slogan e tanta voglia di urlare. Perché io devo trovare soluzioni, i soldi per farli mangiare, per impedire che le ragazze si sentano obbligate ad abortire, per comprare i pannolini e pagare le bollette», magari attingendo al sacchetto delle offerte.
Così, un bel giorno, lui e altri quattro preti di frontiera decisero di ribellarsi «alle modalità di gestione del Comune da parte del sindaco Antonio Bassolino, concentrato unicamente sulla cittàvetrina e sul suo tanto celebrato rinascimento napoletano ». Attaccarono frontalmente quella politica «che gli consentiva di far veicolare al mondo, grazie a un’informazione piegata ai suoi voleri, l’immagine artificiale di una città in salute e senza problemi. Un vero e proprio contrabbando ideologico ». Stilarono un documento durissimo. Poco abituato alle critiche, Bassolino corse a incontrare i religiosi, fece promesse a cui non dette seguito, forse perché disturbato dall’affronto di un altro ecclesiastico, don Franco Esposito, che gli chiese di chiedere scusa ai napoletani per il degrado e l’assenza del Comune. «Non mi sento responsabile di niente e quindi non devo chiedere scusa a nessuno», ribattè Bassolino. Che quando lesse sui giornali delle critiche dei religiosi alzò il telefono e «mi apostrofò dicendomi che ero un emerito mascalzone. Non feci in tempo a ribattere perché dopo le contumelie, attaccò». Per certi versi, anni dopo, gli andò peggio con Rosa Russo Iervolino. «Non s’è mai degnata di incontrarci, nonostante le nostre ripetute richieste e le denunce anche pubbliche sui ritardi comunali ».
Poi successe che il religioso fu invitato da An a dire la sua sulle collusioni tra politica e criminalità. L’anticamorra di professione lo etichettò come «il prete di destra » e la Iervolino annunciò querela aggiungendo «che i soldi del risarcimento del danno che avrebbe certamente ottenuto da me li avrebbe girati a un altro dei parroci di Scampia. Un modo sottile per metterci contro, per impedire che si consolidasse il fronte anticamorra », chiosa il prete. La sindachessa venne però attaccata trasversalmente. Per uscire dall’ impasse fu costretta a un gesto di pace: «Inviò una dichiarazione ai giornali assicurando che mi avrebbe invitato a palazzo San Giacomo per un incontro chiarificatore». Sono passati più di quattro anni. Don Aniello aspetta ancora.Powered by ScribeFire.