
Non volevo scrivere di Pietro Taricone. Non perché la sua morte non mi abbia colpita, anzi. La sua morte, così assurda, per una fatalità, è davvero l'essenza della nostra caducità. Detto questo, volevo evitare il solito buonismo di circostanza che celebra un attore, ex Gieffino. Però, lo ammetto, dopo aver visto Matrix, e sentito alcuni commenti non ce l'ho fatta a resistere alla tentazione di dire la mia. Il problema è che alcune considerazioni mi hanno fatto ribollire il sangue. Si può banalizzare il paracadutismo e i cosiddetti sport estremi in quel modo? Dai, su, parliamoci chiaro: in una trasmissione tv non si possono fare analisi del tipo: "I giovani con questi sport cercano di colmare un vuoto". E ancora: "Chi si lancia da un aereo è come quei ragazzi d'oggi che vanno in discoteca: vogliono emozioni. Vogliono sfidare la morte e trovare un senso nella vita". E per concludere (con un Alessio Vinci, per la verità, un po' imbarazzato) ecco la "chicca" finale: "Forse a Pietro il successo non bastava... quindi aveva bisogno di questi lanci col paracadute". Ragazzi, ma stiamo scherzando?
Secondo voi il povero Pietro aveva bisogno di lanci per un capriccio, un'insoddisfazione... etc? Non può succedere che qualcuno voglia provare o si appassioni a sport, diciamo così, non convenzionali? E, soprattutto, se così fosse, perché significherebbe essere 'vuoti', senza valori in cerca di un senso della vita? Scusate, ma queste affermazioni, dopo aver sentito anche commenti (di amici e dintorni) del tipo: "Poverino, Taricone. Certo che se evitava di provare quelle emozioni lì...Oppure: Forse si era montato la testa e aveva bisogno di adrenalina...". E via così, con la fiera delle ovvietà. Da gente, ovvio, che di mettersi una tuta e provare un lancio, in prima persona, per capire cosa si prova, neanche a parlarne. Però, come sempre, sono tutti bravi con i soliti bla bla di circostanza e a puntare il ditino verso qualcuno o qualcosa.
Scusate, lo so, mi sto infervorando. D'altra parte avendo provato sia un lancio (in tandem) col paracadute che il bungee jumping mi permetto di dissentire. Quando mi lanciai dal famoso aereo - da oltre 4mila metri - subito dopo la caduta libera scrissi di getto due righe dell'articolo che poi pubblicai: "Precipito e il primo pensiero non è sto morendo, ma sto vivendo". Non è che forse Pietro, con la sua compagna Kasia, provava lo stesso sentimento? E a buttarsi col paracadute si sentiva vivo e felice perché amava abbracciare le nuvole? C'è forse qualcosa di sbagliato in questo? Ognuno ha le sue passioni. Ma smettiamola di fare analisi strampalate. Taricone, o' Guerriero, non credo non conoscesse le regole, visto che aveva già fatto 400 lanci.
E certamente conosceva anche i rischi. Che ci sono, certo, inutile negarlo. Ma se l'ex attore è morto è stato per un errore, una fatalità, una virata sbagliata. Amen. Perché non poteva succedere guidando la macchina, sciando, andando in moto o giocando a pallone? Su, siamo seri, e non distacchiamoci troppo dalla realtà. In quanto a Taricone, ora, lasciamolo stare. Personalmente lo ricordo per un'intervista che mi rilasciò qualche anno fa per il settimanale Onda tv: già allora preferiva parlare di cavalli (un'altra sua passione) piuttosto che di donne e Gf. Fu un colloquio breve, di una mezz'oretta. Ma ricordo che non smisi mai di ridere: Pietro era, così, simpatico in modo innato e di un'intelligenza muscolosa, come il suo fisico. Ricordiamolo semplicemente come un giovane di 35 anni, con una figlia e una bella compagna. Un amico come tanti, di quelli che si salutano con una pacca sulle spalle. Sarà per questo che su Facebook e Twitter migliaia di perfetti sconosciuti gli scrivono parole di cordoglio come se fosse qualcuno di famiglia?