Riguardano udienze a citazione diretta con pena fino a 4 anni: furti, truffe, lesioni colpose, infortuni sul lavoro
Dal nostro inviato
Marco Imarisio
BOLOGNA - Chiamatelo pure l'armadietto della vergogna. Un normale mobile da ufficio a due ante, addossato ad un muro nella cancelleria della Procura di Bologna. Anonimo, probabilmente grigio. A stupire è il contenuto, 2.321 fascicoli di indagine per i quali il Tribunale aveva fissato la data d'inizio del processo. Ma invece di procedere con le citazioni a giudizio, ovvero le notifiche alle parti interessate, quei procedimenti sono stati messi sotto chiave. Ad ingiallire fino al sopraggiungere, nella maggioranza dei casi, della morte naturale, ovvero la prescrizione.
Senza che nessun pubblico ministero sentisse la necessità di chiedere dove fosse andata a finire la sua inchiesta. La somiglianza con l'originale si limita al contenitore. Il vero armadio della vergogna, quello che per quarant'anni nascose i fascicoli sulle stragi naziste in Italia, rivelò una storia di connivenze e volontà politica. Ma nel suo piccolo, anche l'omologo bolognese rappresenta qualcosa. La difficoltà della magistratura a fronteggiare carichi di lavoro crescenti. Oppure, una certa incuria da parte dei titolari di quei procedimenti e dei loro superiori che non può essere spiegata soltanto con le carenze di personale amministrativo e di mezzi. Dipende da come la si guarda. Come al solito, quando si tratta di giustizia.
Quel che colpisce è l'entità dello spreco nascosto dietro a quella cifra. Prendere i 2.321 fascicoli, che riguardano processi a citazione diretta, che prevedono pene fino a quattro anni. C'è di tutto, furti, truffe, ricettazione, appropriazioni indebite, lesioni colpose, infortuni sul lavoro. La gran massa di quello che negli uffici giudiziari viene definito «ordinario », anche se le definizione non è lusinghiera per chi li ha dovuti subire, quei reati. In termini di «fatturato», è più di un decimo delle notizie di reato che si accumulano in un anno. Ogni dieci procedimenti, ne è andato perso uno. Adesso, moltiplicare 2.321 per il lavoro degli investigatori, i soldi spesi per perizie e intercettazioni.
Tutto evaporato, tutto inutile, perché nessuno ha sentito il bisogno di prendere in mano quei fascicoli pronti per il processo. La scoperta avviene alla fine del 2008, nel mezzo di una ispezione ordinaria disposta dal ministero della Giustizia che si è conclusa soltanto a febbraio. La visita è dovuta all'eterno conflitto tra la magistratura inquirente bolognese e quella giudicante. La Procura accusa il Tribunale di lavorare a rilento, addirittura ignorando le richieste sempre più pressanti di fissazione dei processi. Addirittura quantifica il numero dei procedimenti per i quali ha chiuso le indagini e predisposto al citazione a giudizio, senza che venisse mai fissata l'udienza.
Il Tribunale risponde con una parziale ammissione di colpa. Tutto vero, dice. Ma a noi risultano «solo» 8-9000 fascicoli, antecedenti all'anno in corso. Comunque tanti. Degli altri, quelli che mancano per arrivare a quota 11.000, non ne sappiamo nulla. Il mistero dura poco, anche se sul suo scioglimento le versioni divergono. Quella più romanzata prevede la scoperta dell'armadietto da parte degli ispettori ministeriali. In Procura sostengono invece di che si tratti del risultato di una indagine interna, avviata dal procuratore Silverio Piro, reggente dell'ufficio in attesa che il Csm trovi un successore a Enrico De Nicola, andato in pensione nel luglio del 2008.
Comunque sia, 2.321 fascicoli per i quali i processi sono stati fissati, ma nessuno che in Procura abbia messo la firma per farli partire. L'incombenza spetta all'ufficio notifiche, ovvero alla cancelleria. La spiegazione della responsabile è disarmante. Non ce la facciamo, dice, a tenere questi ritmi di lavoro. E quindi ci siamo tenuti i fascicoli nell'armadio.
Il danno, e naturalmente pure la beffa. Perché la scelta di «nascondere» alla vista gli incartamenti nasce dal ritorno sulla retta via del tribunale, che dopo tanti solleciti della procura, e un nuovo presidente, dall'inizio del 2008 ha cominciato a dedicarsi maggiormente al processo penale, cercando di «smaltire» il più possibile l'arretrato. Il nuovo e più virtuoso corso avrebbe però prodotto un curioso effetto collaterale, il crollo dell'ufficio udienze. Dopo la scoperta, la responsabilità delle notifiche è tornata di competenza dei pubblici ministeri. «A causa della delicatezza della questione», Piro sceglie di non commentare, limitandosi a sottolineare come con il tribunale «vi sia un clima di ritrovata armonia ».
Le scuse ci sarebbero anche, i tagli alla giustizia, eccetera. E queste cose succedono anche altrove. Mai però con questi numeri, che lasciano lo spazio a parecchie domande. Per quale ragione si è scelto di delegare la gestione delle notifiche dei procedimenti «ordinari» alla cancelleria? Possibile che nessun magistrato abbia mai chiesto conto della sorte dei suoi fascicoli? E infine, perché da parte dei vertici della procura non è stato fatto alcun controllo? Gli ispettori del ministero hanno sentito il bisogno di un supplemento di indagine, sottolineando come il caso bolognese sia «abnorme». Vergogna forse no, ma le belle figure sono decisamente un'altra cosa.